Continuità. Una parola che a prima vista sembrerebbe stridere un po’ nel contesto degli esiti del 19simo congresso del Partito comunista cinese, da più parti a ragion veduta descritto come uno dei più importanti della storia della Repubblica popolare cinese. Il congresso in Cina ha segnato cambiamenti di rilievo, esaltando definitivamente la figura di Xi Jinping – che assume una rilevanza ormai almeno paragonabile a quella di Mao, con la grande novità dell’assenza di delfini designati – e il ruolo stesso del partito, ancor più centrale (con il pensiero di Xi inserito all’interno dello statuto).
Eppure, da un punto di vista di politiche economiche, non si può che parlare di continuità. Nello specifico, di continuità nella trasformazione, in un percorso già avviato nel primo quinquennio di Xi come presidente cinese, è il cosiddetto New normal, un vero e proprio cambiamento di modello economico, da quello storicamente basato su investimenti ed export a basso costo, a uno basato sui consumi interni, con una crescita meno rapida ma più sostenibile.
Il New normal prevede, oltre a una riduzione della crescita del Pil, anche un calo degli investimenti pubblici improduttivi, del debito, dell’export di prodotti a basso costo, e della sovraccapacità produttiva, a fronte di una crescita di consumi interni, urbanizzazione, servizi, in cui la parola-chiave “qualità” sostituisca quella del modello precedente, “quantità”. I risultati di questa transizione sono per adesso parziali: in estrema sintesi, ad ora Xi Jinping ha ottenuto successi sul secondo versante, ma insuccessi nel primo, e invertire la rotta su questo versante sarà la sua vera sfida.
La necessità di limare i costi sociali del rallentamento economico ha spinto infatti Xi a utilizzare leve e pilastri del modello economico degli scorsi decenni, impedendo così una riduzione delle criticità. d’altro canto vanno però anche evidenziati i successi sul versante opposto: oltre all’impiego di maggior qualità e innovazione che trova conferma nella crescita degli investimenti in R&S, gli aspetti più rilevanti del New normal si accompagnano a un’evoluzione socioeconomica della popolazione cinese.
Il punto di maggior rilievo è quello dei consumi interni, principale driver dello sviluppo cinese. Fatta cento la crescita del Pil, nel 2016 i consumi interni contavano per il 64,6% di questa (64,5% a settembre 2017), dato più alto degli ultimi 15 anni, contro un 42,2% degli investimenti (32,8% a settembre 2017), e addirittura il -6,8% dell’export (2,7% a settembre 2017): basta questo dato a spiegare il cambiamento che il New normal sta portando con sé. Ecco allora una crescita dei consumi del 10,4% nel 2016 (7,5% nei primi 9 mesi del 2017), trainata dai consumi digitali e dalle vendite retail online: sono ormai oltre 750 i milioni di cinesi con accesso a Internet (54,3% della popolazione).
In particolare, va registrata una suddivisione dei consumi che vede, per la prima volta nel 2015, la quota relativa a beni di sussistenza (l’alimentazione) inferiore al 30%, dunque con una capacità di spesa superiore per tutta una serie di categorie interessanti per le nostre imprese (abbigliamento, servizi per famiglie, trasporti, telecomunicazioni, medicine e servizi medici, tempo libero, istruzione e cultura). Nell’ex Paese della delocalizzazione per i bassi costi – cresciuti tra il 200 e il 300% a seconda dei settori negli ultimi 10 anni – gli stipendi sono quadruplicati o quintuplicati, a seconda delle province, negli ultimi 12 anni. Nel 2015 la Cina ha inoltre superato gli Usa per estensione della classe media (110 milioni di adulti contro 92).
Tra cinque anni, con 250 milioni di cittadini mediamente benestanti, la Cina diventerà il primo mercato mondiale per i beni di consumo e, tra quindici anni, i cinesi appartenenti a una fascia di reddito alta o medio alta passeranno dal 10 al 35%, con una classe medio alta che va a triplicare (dal 7 al 20%) e una fascia di reddito alta che va a quintuplicarsi (dal 3 al 15%). Nella ex fabbrica del mondo, dove i servizi in realtà contano ormai per quasi il 53% del Pil, è l’urbanizzazione che traina la crescita dei consumi.
Nel 2011, per la prima volta, gli abitanti delle aree urbane hanno superato quelli delle aree rurali. Cinque anni dopo, il tasso di urbanizzazione è al 57,34%: la crescita superiore all’1% annuo è di fatto il più grande processo di urbanizzazione della storia dell’umanità, con 15-20 milioni di persone che ogni anno lasciano le campagne per andare a vivere nelle città. Il 70% dei cinesi vivrà così in città entro il 2035.
Fatte salve le innegabili difficoltà di un mercato cinese in grande evoluzione – dove occorre adattare approcci e modelli al New normal e dove servono strategie definite, pazienza, progettualità, investimenti in tempo e relazioni umane prima ancora che economico-finanziari – è questo il dato più rilevante che indica come occorra puntare con forza al mercato interno dei consumi. Occorre calibrare bene le modalità di accesso al mercato, di posizionamento e di distribuzione; servono competenze e conoscenze, per aprire importanti nicchie in diversi settori in cui è necessario concentrarsi su mercati di fascia alta e trovare il posizionamento giusto. La Cina che cambia rimane comunque ancora piena di opportunità. Sta a noi farci trovare pronti per coglierle.