Circa sei mesi fa, il mensile Formiche nella rubrica Oeconomicus sottolineava, in controtendenza con quasi tutte le altre testate, analizzava come la via della seta non sarebbe stata un vantaggio per l’Italia, ma anzi ciò che in dialetto romanesco si chiama “sòla”, ossia una fregatura.
Nel numero del settimanale britannico The Economist , in edicola dal 16 dicembre, si spiega indirettamente perché: alla Cina interessa poco un’Italia che appare sgangherata con procedure barocche e lentissime, nonché soprattutto un sistema politico che pare votato all’instabilità. Ci sono, in aggiunta, episodi specifici come le difficoltà di avere il porto di Augusta (con le sue acque profonde) come punto di riferimento strategico per le operazioni cinesi nel Mediterraneo nonché attracco di riferimento nella navigazione verso Amburgo. Questi ed altri episodi non sono citati specificatamente nel The Economist.
Il settimanale londinese d’altronde non tratta nel dossier sulla Cina degli aspetti economici ma di quelli politici: lo sharp power della versione del Celeste Impero guidato da Xi Jinping, (nella foto), in modo più autocratico di quanto facessero i suoi predecessori ha l’obiettivo di influenzare le politiche degli Stati dove pensa di poter fare affari. Vengono citati numerosi cosi di corruzione di uomini politici, di intrusione nei media e nelle università in Australia, Stati Uniti ed alcuni Paesi europei. Ma l’Italia non è nell’elenco.
Perché? A mio avviso la ragione è semplice: i cinesi non tentano di corrompere i politici italiani perché li ritengono integerrimi o di incidere sui nostri think tank, media ed università perché pensano che sono torri eburnee, ma molto semplicemente “non vogliono perdere tempo”. Ho avuto lunga dimestichezza di lavoro con colleghi cinesi quando ero in Banca Mondiale ed in agenzia specializzate delle Nazioni Unite come la Fao e l’Ilo per sapere che i cinesi hanno una profonda etica del lavoro ed un profondo disprezzo per “i perditempo”. Con i politici italiani, con l’alta burocrazia del nostro Paese temono di sprecare la risorsa più preziosa: il tempo. Per questo intrattengono rapporti con singole imprese ed imprenditori che danno prova di efficienza ed efficacia ma si tengono alla larga di quelli che, a torto o a ragione, considerano “perditempo”. Ciò spiega perché la Cina si avvicina ad altri, ma si allontana dal Belpaese.
Ci dovrebbe servire da monito nella formulazione delle nostre strategie politiche ed economiche internazionali.