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Il generale Camporini spiega perché Trump fa bene a temere la Cina

Trump

La preoccupazione di Trump nei confronti della Cina è assolutamente ragionevole, ma la disattenzione alle tematiche ambientali è preoccupante. Parola del generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai) e già capo di Stato maggiore della Difesa. Intervistato da Airpress, il generale ha commentato la Strategia di sicurezza nazionale (Nss) che il presidente Donald Trump ha presentato ieri e che ridefinisce la postura internazionale degli Stati Uniti.

Cosa le sembra di questa National security strategy (Nss)?

Come anticipato già dal National security advisor H.R. McMaster, il presidente Trump, con i soliti toni che ormai lo caratterizzano, ha ribadito la volontà di mantenere una capacità assolutamente autonoma di difesa e sicurezza, di non avere bisogno di nessuno e di chiudersi, almeno in parte, entro i propri confini. In questo senso, il documento rappresenta un tentativo di sistematizzazione del trumpismo, realizzato così da dotarlo di aspetti di razionalità che spesso il presidente sembra non avere. In altre parole, si sente lo sforzo dello staff presidenziale di dare organicità e logicità al pensiero e alla dottrina del presidente, facendo sì che le varie componenti non siano in contrasto l’una con l’altra.

Sulla Russia tale organicità sembra però mancare.

Effettivamente, qualche piccola ambiguità nel rapporto con la Russia c’è. Mosca viene considerata un competitor degli Stati Uniti, eppure non si esclude la possibilità di un rapporto reciproco. Ad ogni modo, l’attenzione particolare su due antagonisti, Cina e proprio la Russia, sembra richiamare un po’ i tempi andati.

Se su Mosca l’approccio può sembrare ambiguo, nessun dubbio sulla Cina, considerata il principale competitor da un punto di vista soprattutto economico e tecnologico. È un timore fondato?

La preoccupazione della presidenza Usa riguarda soprattutto gli intellectual property rights. In breve, il timore è che prosegua ciò che è accaduto negli ultimi anni, e cioè il fatto che la Cina continui ad essere in grado di copiare in poco tempo gli avanzamenti tecnologici che gli occidentali hanno ottenuto in molti anni. In questo, la Cina è stata sicuramente agevolata da vendite e trasferimenti di know how (ricordo la vendita della divisione portatili di IBM ai cinesi) che le hanno permesso di impadronirsi di tecnologie occidentali. La preoccupazione espressa nella Strategia mi sembra perciò ragionevole. Si consideri, tra l’altro, che l’Unione europea è ancora in una situazione di embargo con la Cina per quanto concerne le tecnologie militari, non per preoccupazioni di natura commerciale quanto per il rispetto di diritti umani. Eppure, non so quanto di questo embargo sia stato rispettato o meno; sicuramente qualcuno ha trovato qualche scorciatoia. Ciò è preoccupante poiché l’Occidente può ancora sperare di avere un vantaggio solo se mantiene un delta tecnologico che fino ad ora è stato il suo vero punto forza. Se la Cina ci arriva, abbiamo un grosso problema.

Cosa comporta la nuova Strategia americana per l’Europa?

La sistematizzazione organica della dottrina di Trump prevede un rapporto competitivo con il resto del mondo, e in questo resto del mondo ci siamo anche noi. Il fatto di rientrare nei competitor implica che dobbiamo essere in grado di rientrare nelle regole di competizione economica e, se vogliamo essere partner, di pagare di più. Cosa può fare l’Europa da questo punto di vista è in discussione, ma certamente qualcosa è stato fatto nell’ultimo anno e mezzo sul lato della difesa comune. Eppure, considerando ad esempio il Fondo europeo di difesa (Edf) predisposto dalla Commissione, si tratta ancora di spiccioli rispetto ai 700 miliardi di dollari che Trump ha destinato alla Difesa americana per l’anno fiscale 2018. Ad ogni modo, l’Ue ha sicuramente dimostrato la volontà di cambiare passo e speriamo che questo accada poiché dovremmo essere capaci di difenderci da soli e di rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti dimostrandoci dei partner credibili

La Strategia di Trump si associa ai 700 miliardi di dollari per la Difesa Usa nel 2018. Ma quanto sarà rapido il rafforzamento militare degli Stati Uniti?

La volontà del presidente di aumentare la spesa destinata alla difesa era già nota da tempo, così come lo erano tutti i problemi che ciò comporta. Per fare solo un esempio, il piano di Trump prevede una flotta di 355 navi, obiettivo spesso ribadito dall’amministrazione Usa. A detta degli specialisti statunitensi però, ciò non è fattibile neanche nell’arco della presidenza solo in virtù di quelli che sono i tempi naturali di sviluppo e produzione. Ciò permette di comprendere che sebbene la potenza militare americana verrà certamente rafforzata, altrettanto certamente ciò non avverrà dall’oggi al domani. Lo stesso incremento del numero di soldati (ndr, la legge firmata da Trump prevede un aumento di truppe fino a 20mila unità in servizio), tra reclutamento e addestramento, non sarà rapidissimo.

Molte preoccupazioni sull’Nss riguardano invece l’assenza delle questioni ambientali.

Si tratta di un’assenza preoccupante, che riesce difficile comprendere dato che le evidenze ci sono tutte. Che sia colpa dell’uomo o che sia una naturale evoluzione del clima è irrilevante. O si fa qualcosa per minimizzare gli effetti o sarà necessario essere pronti a qualsiasi evoluzione climatica con sconvolgimenti importanti anche da un punto di vista geopolitico. I movimenti di popolazione a cui assistiamo nel Mediterraneo sono solo un piccolo assaggio.


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