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Il Senato approva la riforma fiscale di Trump. Le opinioni degli esperti

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“Abbiamo passato il più grande taglio alle tasse della storia del nostro Paese”. Non nasconde il suo sollievo il presidente Donald Trump, dopo che il voto favorevole del Senato sabato mattina alla sua riforma fiscale ha dissipato dubbi e voci di corridoio di un’ennesima defezione da parte dei repubblicani. Ormai tra la riforma e la firma del presidente c’è solo il voto del comitato bi-camerale, poco più di una formalità. Trump dunque incassa il primo vero successo politico dall’insediamento alla Casa Bianca: “In questo momento, a meno che loro (i democratici, ndr) non abbiano qualcuno di cui non sappiamo, siamo imbattibili” esulta il Tycoon lasciando la Casa Bianca per una serie di eventi fund-raising in New York.

Non sono fake news, il piano fiscale appena passato al Senato riesce persino a far impallidire la celebre riforma del fisco di Ronald Reagan. I democratici, sconfitti con un voto di 51 a 49, attaccano il Gop per aver spinto sull’acceleratore, rivelando il testo finale della riforma solo a poche ore dal voto decisivo. Duro il giudizio degli esperti: Jeffrey Sachs, economista di fama internazionale e professore della Columbia University, nel suo ultimo editoriale per la Cnn non esita a definire il piano di Trump “uno straordinario monumento all’idiozia”.

Una legge che farà brindare i ricchi e digrignare i denti ai poveri, assicura l’esperto, “I tagli avranno effetti enormi sul deficit di bilancio e ripercussioni negative sulle classi di reddito più basse”. Sachs condanna poi l’irresponsabilità dei repubblicani, che lasceranno gravare sulle spalle delle generazioni future un debito da un triliardo di dollari: “Interessa al presidente, a Mitch McConnell, Paul Ryan o alla maggior parte dei congressmen repubblicani? No. I super-donatori del Gop intascheranno i risparmi dalle tasse, che ci sia o meno crescita, deficit enormi, un mostruoso debito pubblico e sofferenza per i poveri”.

Sorprende dunque che i repubblicani, che pure storicamente vedono il debito pubblico come fumo negli occhi, abbiano approvato all’unisono una riforma dalla dubbia sostenibilità sul lungo periodo. Una colpa, quella di sottovalutare il debito, che grava anche sui democratici, attacca Sachs, che nel 2009, in piena era Obama, passarono al Congresso una riforma di stimolo all’economia da un trilione di dollari. Segno che la democrazia americana, conclude l’esperto, “è stata avvelenata dalle appartenenze politiche e dal grande capitale, da entrambe le parti”.

“Gli Stati Uniti non hanno un debito al 100% dalla Seconda Guerra Mondiale, e con il debito aumenterà il rapporto debito/Pil” spiega a Formiche.net Andrea Montanino, senior fellow dell’Atlantic Council. Che al tempo stesso non ha dubbi sul successo politico per Trump del voto del Senato: “Fra pochi mesi inizia la campagna per le elezioni di mid-term, un appuntamento cruciale perché viene rinnovata tutta la Camera, un terzo dei senatori, e i governatori di 39 Stati”. Dopo nove mesi di veti contrapposti che hanno intralciato e talvolta arenato del tutto le riforme trumpiane, “questi tagli alle tasse nel breve periodo possono avere un successo enorme e spostare parecchi voti”.

L’effetto sulla crescita con cui i repubblicani sperano di azzerare il buco nel debito, aggiunge Montanino, “sarà limitatissimo, si tratta piuttosto di una redistribuzione del reddito a favore dei ricchi”. Ma a novembre l’abbattimento delle tasse sulle imprese, ad oggi tra le più alte al mondo, pagherà alle urne: “Un’imposta più bassa non può non attrarre investimenti negli Stati Uniti. Ma soprattutto ci sarà un effetto segnale nell’immaginario collettivo, i governatori repubblicani vanteranno la riapertura degli stabilimenti, anche se l’effetto macroscopico non sarà enorme”.

Un’ultima nota positiva riguarda la de-regulation, la semplificazione tanto cara ai repubblicani, sotto forma di riduzione degli scaglioni fiscali da sette a tre e una trasformazione del tax-code: “Se davvero riusciranno nell’intento sarà una grandissima riforma” conclude Montanino, “La mia dichiarazione dei redditi negli States è di 74 pagine, in Italia non supera le 4”.

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