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Gli Usa hanno fatto bene a bloccare Alibaba, ma non basta. L’analisi di Pelanda

Un non evento. Il no del Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti all’operazione da 1,2 miliardi di dollari con cui il colosso cinese Alibaba avrebbe acquisito MoneyGram non stupisce Carlo Pelanda, politologo, economista ed esperto di relazioni internazionali.

“Si tratta di un fatto che rientra nel blocco annunciato della vendita di asset americani considerati di valore strategico – spiega Pelanda a Formiche.net –, soprattutto dopo la decisione di Xi Jinping durante l’ultimo congresso cinese di imporre in ogni azienda di rilievo un commissario politico all’interno del cda”. Non una grande novità neppure questa, visto che “già in passato i grandi gruppi si sono espansi all’estero grazie al supporto dell’intelligence cinese. Ora Xi ha solo formalizzato una situazione che già esisteva grazie a un enorme, efficace sistema di intelligence esistente nel Paese. Pechino è un impero in espansione, ha imparato dal Giappone ma lo fa con una potenza maggiore. Xi ha strutturato meglio il controllo rompendo il sistema del consenso inaugurato da Deng Xiao Ping e trasformando la Cina in una dittatura di tipo nazional-socialista, necessaria – a suo modo di vedere – per evitare la disgregazione dei vertici di comando”.

Tornando al gigante dell’e-commerce Alibaba, non è che adesso “non potrà più operare negli Stati Uniti: dovrà farlo in condizioni di controllo e senza avere il dominio”. Nel caso specifico dell’operazione saltata tra Alibaba e MoneyGram Pelanda non vede “grande differenza tra l’operato di Donald Trump e quello di altri presidenti americani. E neppure con l’Unione europea visto che pure lì esiste un sistema di controllo per vedere in quali mani private vanno gli asset di valore strategico”.

“L’evento che preoccupa gli analisti come me, invece – sottolinea il professore -, è che gli Stati Uniti non hanno un piano strategico di influenza geo-economica globale. È assolutamente normale che difendano gli asset nazionali dalle intrusioni strategiche di un nemico ma manca una gamba: in assenza di una strategia americana di presidio globale Alibaba, e la Cina in generale, possono conquistarsi altri territori, per esempio l’Africa. Per non parlare della Russia, che Pechino già si sta mangiando”.

Dunque “non è trumpiano dire no all’acquisizione, è trumpiana l’incapacità di darsi una strategia per rendere l’America di nuovo grande”. Alla faccia dello slogan usato in campagna elettorale “Make America great again”. Durante la presidenza di Barack Obama, di fronte all’insorgere del dominio cinese, si era corsi ai ripari strutturando “un piano per mantenere il dominio nel pianeta tramite trattati economici di reciprocità”. Una scelta fatta grazie “al ritorno al lavoro di persone veramente per bene, ovvero l’élite imperiale staunitense”.

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