Da tempo, la Corea (soprattutto quella del Nord) è tornata sulle prime pagine dei giornali, ma pochi si chiedono chi sono i coreani. Molti, errando, li ritengono cugini dei cinesi.
Ho avuto molto a che fare con Corea e coreani in due fasi della mia vita professionale: a) nella prima parte degli anni Settanta, quando lavoravo per la Banca mondiale e impostai un prestito per l’epoca molto vasto (cento milioni di dollari) per la scienza e la tecnologia in Corea (soggiornando anche a lungo a Seul) e b) tra il 2000 e il 2005 quando insegnavo alla Scuola Superiore della Pubblica amministrazione Sspa (ora Scuola Nazionale d’Amministrazione, Sna) e con un economista coreano (Daewon Choi), allora dirigente della Commisione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (Unece), organizzai un convengo internazionale sulla net economy alla Reggia di Caserta e ne curai la pubblicazione degli atti. All’epoca dei miei primi contatti con la Corea (negli anni Settanta), la Repubblica del Sud aveva un reddito pro capite inferiore a quello dello Zambia. All’inizio di questo secolo si approssimava a quello dell’Italia. Pochi economisti avevano previsto un tale sviluppo. Negli anni Sessanta, un volume della Banca mondiale, pubblicato dalla Johns Hopkins University Press, considerava il Paese un caso maltusiano di sottosviluppo in cui l’incremento demografico avrebbe reso la penisola sempre più povera. Mai previsione è stata smentita in modo più eloquente.
In primo luogo, i coreani si sono stabiliti in Asia verso il 400-500 dopo Cristo, ma sono di ceppo uralico. Al pari dei finlandesi, dei turchi e dei magiari, hanno lasciato più o meno a quell’epoca le steppe del nord della Siberia per recarsi in zone più ospitali dal punto di vista ambientale e climatico. Alcune tribù traversarono gli Urali verso le pianure europee; altre verso la penisola asiatica (allora abitata da pochi aborigeni). Lo dimostra la lingua, molto distante dalla lingua cinese ma con radici chiaramente comuni al finlandese, al turco e al magiaro. In una prima fase, si organizzarono in tre Regni (tre vaste tribù), unificate verso il 660 nel Regno di Silla, conquistato verso il 940 dal Regno di Goryeo o Koryo da cui deriva il nome di Corea, chiamata Cauli nel “Milione” di Marco Polo. La Corea ebbe un periodo prospero, sostituendosi ai cinesi nel commercio internazionale quando un imperatore cinese chiuse l’Impero nel timore che altri si appropriassero del progresso tecnologico. Furono i navigatori coreani a dare una lingua scritta all’arcipelago giapponese; ancora oggi, i computer giapponesi hanno per alcune parole gli ideogrammi coreani che si differenziano dai nipponici perché esprimono idee, concetti e cose, non sono meramente sillabici (come quelli prevalenti in Giappone). Nel 1897, il Re Golon proclamò l’Impero coreano. Fu di breve durata. Nel 1910 la Corea venne conquistata dall’Impero giapponese che ne fece una sua colonia sino alla sconfitta al termine della Seconda guerra mondiale.
Allora la Corea venne divisa in due zone; al Sud del 38simo parallelo, zona di occupazione statunitense, al Nord zona di occupazione sovietica. La conseguenza fu che ne sortirono due Stati con sistemi politici, economici e sociali diametralmente opposti. All’inizio degli anni Cinquanta, la Corea del Nord (allora più industrializzata) cercò di invadere quella del Sud. Ne conseguì una guerra di tre anni sino a quando un armistizio ristabilì il confine al 38simo parallelo. Da allora i rapporti tra le due Coree hanno conosciuto alti e bassi, oscillando sempre fra momenti di aperta ostilità e tentativi di dialogo e riavvicinamento.
Da allora, l’andamento economico del Nord (che pur aveva una base importante di industria pesante) è stato un disastro, segno dei guai del collettivismo, mentre il Sud è diventato un Paese avanzato in gran misura grazie ad una politica delle risorse umane.
Prima o poi, a mio avviso, le due Coree si riunificheranno. Devono farlo nei modi e con i tempi loro. A ragione della unicità al mondo della loro storia e delle loro caratteristiche sociologiche.