*L’articolo originale è stato pubblicato su Linkiesta di ieri con un intervento dell’ex Ministro dell’Ambiente Corrado Clini.
La Cina pensa sempre più in verde. Accetta sempre meno di smaltire le plastiche occidentali, e mette in campo politiche green. Che fare? L’unica soluzione è accettare la sfida delle bioplastiche, come alcune aziende italiane stanno facendo
La Cina pensa sempre più in verde. Accetta sempre meno di smaltire le plastiche occidentali, e mette in campo politiche green. Che fare? L’unica soluzione è accettare la sfida delle bioplastiche, come alcune aziende italiane stanno facendo
“Life in plastic, is fantastic”, rotolava qualche anno fa il ritornello di una canzone pop. Ma la vita con o nella plastica non è così tanto fantastica, e ce ne stiamo accorgendo. Le montagne di plastica che inquinano i nostri mari, microplastiche e resti che contaminano preziose riserve d’acqua dolce e fanno strage di uccelli, pesci e cetacei sono davanti agli occhi di tutti, trasmesse in milioni di pixel che viaggiano su google, le tv e i social media.
Abbiamo tutti letto, sentito, discusso nei bar e alle stazioni di sacchetti bio-degradabili da supermercato. E del loro prezzo. Ci arriveremo. Però, facciamo un passo indietro. Lasciamo i 2 cent da pagare a Bordighera e andiamo a Pechino. In Cina. Direte voi, e che c’azzecca con i brevetti della Catia Bastioli?
Succede che dal 1 gennaio di quest’anno la Cina ha vietato l’importazione di 24 tipologie di materie prime secondarie destinate al riciclo. Proibite sono soprattutto le plastiche post-consumo, il PET delle bottiglie, i sacchetti, il PVC delle bottiglie di sciampo e detersivi, o per gli imballaggi alimentari, il PS delle posate usa e getta, e chi più ne ha, più ne metta. Nella lista c’è anche una tipologia di carta da macero, quella “non selezionata”, i rifiuti misti e appiccicosi, coi resti di cibo, per intenderci. Milioni di tonnellate di rifiuti o materiali che resteranno entro i confini della madrepatria (e in genere di tutti i paesi sviluppati dove le attività di recupero/riciclo hanno dato vita ad un comparto florido). Che ne facciamo? Se lo stanno già chiedendo gli inglesi che esportavano, fino all’anno scorso, il 65% dei propri rifiuti di plastica, gli irlandesi, che ne riciclavano in casa solo il 5% e persino gli efficienti tedeschi capaci di trattare solo la metà del totale dei rifiuti plastici (come materia prima secondaria o per la produzione energetica).
Insomma, una catastrofe – per non parlare dell’impatto che avrà sul prezzo delle materie prime seconde e quindi sulla convenienza economica delle attività di recupero come le conosciamo oggi. In parole povere, la decisione mette in crisi il sistema di gestione dei rifiuti e l’industria del riciclo a livello globale.
http://www.linkiesta.it/it/article/2018/01/08/la-cina-non-vuole-piu-smaltire-le-nostre-plastiche-ed-e-una-catastrofe/36710/