Oggi tocca ai vaccini, domani chissà. Ogni giorno nel centrodestra ha la sua pena. L’ultimo caso, a soli 48 ore dal vertice di Arcore, riguarda appunto l’obbligo delle vaccinazioni.
“Cancelleremo le norme del decreto Lorenzin. Vaccini sì, obbligo no. E via la tassa assurda sulle sigarette elettroniche”, annuncia Matteo Salvini su Twitter. Quanto basta a scatenare polemiche trasversali. Pochi minuti e arriva lo stop di Paolo Romani, presidente dei senatori di Forza Italia e uomo molto vicino a Berlusconi: “Sono favorevole alla obbligatorietà dei vaccini. Non penso proprio che l’abolizione dell’obbligo entri nel programma del centrodestra. Noi lo abbiamo votato convintamente”. Parole pesanti, soprattutto perché pronunciate al termine di un incontro tra gli alleati proprio sulla piattaforma programmatica del centrodestra. Posizione peraltro sostenuta nei mesi scorsi dallo stesso Silvio Berlusconi e quindi ben nota a Salvini. Quasi scontata, ma non meno pesante, la reazione della ministra della Salute: “La Lega sui vaccini mostra di essere peggio che populista. Ma di perseverare nell’estremismo dell’incompetenza. La Lega gioca, per qualche voto in più, sulla salute degli italiani, sulla salute dei nostri figli, rischiando di continuare a perorare una causa “no vax”, che mette seriamente a rischio le campagne di informazione scientifiche e sanitarie. L’Italia va vaccinata dagli incompetenti».
Al di là dell’ultimo scontro, la questione di fondo resta la litigiosità tra gli alleati del centrodestra. L’unica formazione che, sondaggi alla mano, può avere una chance di vittoria “en solitaire”.
L’atmosfera nel centrodestra è sempre più calda, anche se non ancora rovente. Certo non è bastato il vertice per mettere a tacere il vero tormentone degli ultimi mesi. Stiamo parlando della lotta per la leadership, e futura premiership, tra un Berlusconi ritrovato e sempre più protagonista e un Salvini che dopo mesi e anni di auto-promozione quasi porta a porta proprio non ci sta a subire la “carica” del Cavaliere.
Difficile non sospettare che Berlusconi, da sapiente direttore di orchestra, stia “punzecchiando” ad arte il suo alleato: prima creando motivo di risentimento e poi mettendoci la sordina, come se nulla fosse accaduto, come fosse solo un fraintendimento, un gap semantico e non politico. L’effetto, voluto o no che sia, è di quelli in grado di far saltare i nervi anche ad un santo, figuriamoci al leader della Lega.
Una partitura che si è ripetuta in questi giorni in maniera sempre identica. Primo atto: i sospetti leghisti su un accordo tra il governatore lombardo e Berlusconi. Un passo indietro di Maroni prodromico ai classici due passi avanti, stavolta in direzione Palazzo Chigi, lo stesso edificio a cui punta il segretario leghista (il suo simbolo elettorale recita, più chiaro di così è impossibile, “Salvini premier”). La temperatura aumenta e quando raggiunge il culmine, Berlusconi stoppa tutto: per Maroni nessun incarico politico.
Secondo atto: chi sostituirà Maroni in Lombardia. Salvini lancia Attilio Fontana. Il Cavaliere sembra dire “sì”, poi nicchia, poi si rivolge ai guru dei sondaggi. Ore di frenetiche trattative, con Salvini che invia il suo braccio destro Giorgetti a sbrigliare la matassa. Poi finalmente il via libera più o meno definitivo.
Stessa storia per la decisione di inserire nel programma l’abolizione degli aspetti negativi della riforma pensionistica targata Fornero. Salvini la declina come cancellazione “senza se e senza ma”, e subito canta “vittoria”. Berlusconi invece no, e declassa la cancellazione da totale a parziale. E sul filo della semantica si consuma l’ennesima guerra di nervi.
Come si diceva: oggi i vaccini, domani chissà. Stavolta a lanciare il guanto di sfida è stato il leghista, subito raccolto da Berlusconi. Ma intanto nei sondaggi il Cavaliere cresce mentre Salvini vede allontanarsi sempre più, all’orizzonte, l’obiettivo di Palazzo Chigi.