La crisi nel rapporto tra cittadini e partiti politici ha radici lontane e sarebbe riduttivo attribuirla solo al tema dei privilegi della casta o all’indignazione suscitata dai casi di corruzione che hanno visto coinvolti esponenti di numerose forze politiche, dando l’impressione che da Tangentopoli in poi nulla sia cambiato. Oppure, ancora, dall’impiego inappropriato dei rimborsi elettorali. Chi non ricorda, a questo proposito, le reazioni degli elettori alle singolari vicende del consigliere regionale Franco Fiorito, detto Batman di Anagni, talmente corpulento da faticare a entrare nella Smart che si diceva fosse stata acquistata con i rimborsi elettorali, non diversamente dalla biancheria intima di colore verde del governatore del Piemonte Cota? Tutto ciò rappresenta la punta di un iceberg, sotto il quale si nascondono cambiamenti di lunga data che ci aiutano a capire il perché di una relazione che nel tempo si è profondamente deteriorata.
IL LOGORAMENTO DEL RAPPORTO TRA CITTADINI E POLITICA
A partire dalla fine degli anni Ottanta, con la caduta del muro di Berlino e l’indebolimento di quelle che i sociologi definiscono “le subculture”, sono venute meno le appartenenze “granitiche” che avevano caratterizzato il dopoguerra e spiegavano in larga misura l’alta partecipazione al voto, la capillare presenza delle sedi dei partiti sul territorio, la forte stabilità degli scenari che si registravano a ogni tornata elettorale. Negli ultimi tre decenni abbiamo assistito a un processo di secolarizzazione dalla politica che fino ad allora era stata molto pervasiva e rappresentava una sorta di tratto identitario in grado di influenzare anche lo stile di vita individuale, le scelte attinenti alla sfera privata, dall’abbigliamento alla meta delle vacanze, dalle letture alle scelte scolastiche, dall’arredamento della casa agli hobby. Stili di vita descritti con graffiante ironia da Giorgio Gaber nella canzone Destra Sinistra. Oggi la politica rappresenta tutt’al più un frammento dell’identità, nemmeno il più importante, che coesiste con altri frammenti non sempre coerenti tra loro, come si evince dal caso, largamente frequente, rappresentato dall’operaio del Nord Italia che è iscritto alla Cgil, vota Lega e partecipa alla messa domenicale, senza in alcun modo avvertire la dissonanza valoriale tra i tre ambiti a cui sente di appartenere.
L’inchiesta giudiziaria denominata “Mani pulite”, inoltre, mise in luce il tema della corruzione e del finanziamento illecito dei partiti contribuendo a delegittimarli agli occhi dei cittadini. E, ancora, l’alternanza “all’italiana”, ossia il fatto che in Italia dal 1994 in poi nessun governo abbia avuto la possibilità di affermarsi per un secondo mandato, e l’espressione più lampante della delusione dei cittadini nei confronti di chi ha governato.
Il succedersi di governi sostenuti da alleanze di centrodestra e di centrosinistra, la fine anticipata delle legislature, l’esperienza di un governo “tecnico” hanno alimentato la convinzione che la politica sia distante dai cittadini, incapace di rappresentarne le domande, i bisogni e le aspettative. Intendiamoci, l’opinione ampiamente diffusa che la politica sia responsabile di tutti i mali e delle nefandezze del Paese e, per contro, che la società civile abbia tratti “angelicati” e sia depositaria di ogni virtù e destituita di fondamento: la politica, infatti, e spesso uno specchio della società e dei suoi valori prevalenti. Ma tant’è: i cittadini delusi e disillusi si sono ulteriormente allontanati dalla politica.
LA CRISI ECONOMICA
La situazione si è ulteriormente fatta critica a partire dal 2008, ossia dal conclamarsi della crisi economica a seguito della quale le famiglie sono state chiamate a fare molti sacrifici, a rivedere il proprio stile di vita e di consumo. A fronte delle rinunce e delle difficolta che gli italiani stavano vivendo, i costi e i privilegi della politica – su cui aveva acceso un potente riflettore il fortunato libro-denuncia di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, intitolato La Casta – apparivano insopportabilmente stridenti.
Alla luce di tutto ciò i sentimenti di antipolitica si sono diffusi a macchia d’olio. Ne hanno fatto le spese non soltanto la reputazione dei partiti e degli esponenti politici, gli orientamenti di voto degli elettori o l’affluenza alle urne ma anche le forme di finanziamento della politica, sotto l’onda dell’indignazione popolare. Un’indignazione che molto spesso, allora come oggi, è alimentata anche da un livello di conoscenza molto parziale del reale funzionamento delle istituzioni: gli italiani sono convinti che il compito del parlamentare consista unicamente nel votare in aula dal martedì al giovedì, ignorando le altre attività. Insomma, un lavoro da fannulloni, molti dei quali mantengono l’attività professionale lucrando l’indennità assegnata ai parlamentari, cui faranno seguito pingui e ingiustificati vitalizi.
PERCEZIONI E FAKE NEWS
Il tutto è stato complicato da due fattori: la percezione distorta dei costi della politica e la diffusione delle fake news, in un ambito nel quale non sono mancate e non mancano situazioni reali meritevoli di una censura sociale. Sul primo aspetto vale la pena richiamare un sondaggio Ipsos del 2012 riguardante le iniziative volte a migliorare i conti pubblici. Il dato di per sé non era sorprendente, alla luce dell’ostilità nei confronti della politica. Ciò che viceversa lasciava sconcertati erano le risposte alla domanda successiva.
Oltre un italiano su due era convinto che la riduzione dei parlamentari potesse determinare il maggiore beneficio sul bilancio pubblico: in realtà allora come oggi si tratta di una misura che produrrebbe risultati decisamente modesti rispetto agli altri provvedimenti considerati.
Quanto alle fake news, forse l’esempio più eclatante è rappresentato dalla vicenda del senatore Cirenga. Eravamo a poche settimane dalle elezioni del 2013 che, come e noto, hanno rappresentato un vero e proprio terremoto politico. Basti pensare che si è trattato della tornata elettorale che ha fatto registrare il più alto tasso di volatilità nella storia della Repubblica Italiana: quasi due elettori su cinque (39%) hanno “tradito” il partito votato in occasione delle elezioni precedenti. Una percentuale talmente elevata da collocarsi al terzo posto in Europa, considerando le 279 elezioni legislative che si sono tenute dal 1945 al 2013 in 16 Paesi. Ebbene, in quel contesto così complicato e ostile nei confronti della politica, nella rete si diffuse in modo virale la seguente notizia “Ieri il Senato della Repubblica ha approvato con 257 voti a favore e 165 astenuti il disegno di legge del senatore Cirenga che prevede la nascita di un fondo per i parlamentari in crisi, creato in vista della imminente fine della legislatura. Questo fondo prevede lo stanziamento di 134 miliardi di euro da destinarsi a tutti i deputati che non troveranno lavoro nell’anno successivo alla fine del mandato. E questo quando in Italia i malati di Sla sono costretti a pagarsi da soli le cure. Rifletti e fai girare”.
Questa notizia era destituita di ogni fondamento e sarebbe bastata una verifica in internet per appurare che il senatore Cirenga, presunto promotore del ddl, non è mai esistito. Come pure sarebbe bastato un minimo di raziocinio per considerare che i 257 voti a favore del ddl, sommati ai 165 astenuti, portava il totale a 422 senatori, quindi oltre 100 in più rispetto a quelli che siedono in senato (315 più i 5 senatori a vita). E, infine, il presunto importo stanziato era smaccatamente esorbitante, nettamente superiore alla somma di quanto previsto dalle leggi di stabilità degli ultimi anni. Insomma una notizia palesemente falsa, una bufala che, tuttavia, ha contribuito a rafforzare i sentimenti di livore nei confronti della casta. In epoca di post-verità non importa che una notizia sia vera o falsa, l’importante è che contribuisca a confermare le proprie opinioni. Non stupisce quindi che si sia propagato un clima da caccia alle streghe di cui hanno fatto e continuano a farne le spese anche i politici più virtuosi e parsimoniosi.
IL FINANZIAMENTO DELLA POLITICA
Nel tentativo di recuperare il rapporto deteriorato con cittadini e di guadagnare consenso, la politica ha reagito abolendo, di fatto, il finanziamento pubblico dei partiti. Forse sarebbe stato sufficiente definire un tetto massimo di finanziamento, disciplinare in modo stringente le modalità di impiego dei rimborsi elettorali e istituire rigorose forme di controllo, ma sappiamo che il nostro non è il Paese delle mezze misure. Ne consegue che d’ora in poi i partiti, per sopravvivere, dovranno attrezzarsi per attivare forme di raccolta fondi tra i privati, siano essi singoli cittadini o imprese. Tenuto conto del permanente clima di antipolitica, non sembrerebbe un’impresa facile. Basti pensare che nel 2016 solamente 971.983 contribuenti su 40.716.548, pari al 2,38%, hanno deciso di destinare a un partito il 2 per mille della loro Irpef. Meno di un milione di italiani: c’e da riflettere. A ciò si aggiunge che il fundraising oggi è uno strumento molto utilizzato, soprattutto dalle organizzazioni non profit, quindi la politica entra in un’arena già molto affollata.
IL FUNDRAISING
In uno scenario sociale, politico ed economico come quello descritto, è evidente che raccogliere fondi presenta molteplici sfide a più livelli e che quindi se da un lato il Terzo Settore si propone come il primo concorrente dei partiti politici decisi ad avviare questa attività, dall’altro esso può rappresentare una fonte di ispirazione per molteplici ragioni. L’esperienza di Ipsos nella collaborazione con realtà del Terzo Settore porta a elencarne una serie, che non vuole essere esaustiva, ma che può rappresentare materia di riflessione:
L’APPROCCIO PROFESSIONALE
Per quello che concerne la raccolta fondi, il Terzo Settore, partendo in molti casi sulla spinta dell’idealismo e trovando le prime forze nel supporto di strutture a base volontaria, ha navigato attraverso epoche differenti ed è andato strutturandosi e dotandosi di un ventaglio di offerta composto da veri e propri “prodotti” di raccolta fondi, nonché di strutture professionali specificamente attrezzate per il management di questa specifica attività. Due sono i fenomeni di rilievo, strettamente intersecati fra loro, che hanno contribuito all’evoluzione: la sempre migliore conoscenza dei donatori, grazie a studi di segmentazione che ne rilevano il profilo – sociodemografico, attitudinale, psicologico, motivazionale, di ciclo di vita – che consente di commisurare l’offerta andando a soddisfare il bisogno che muove alla donazione; e l’evoluzione della figura del fundraiser, che si è professionalizzata e che in molte organizzazioni si è articolata, declinandosi in relazione ai profili dei donatori, alla loro capacità di esborso, al loro essere individui o aziende o istituzioni.
L’ARTICOLAZIONE DEI TOUCHPOINT
La sensibilità che molte Ong dimostrano nel leggere la realtà dei bisogni umanitari trova spesso complemento nella capacità di decodificare accuratamente anche la realtà quotidiana, quella con cui fa i conti chi raccoglie i fondi: ecco allora che davanti alla crescente complessità con cui si interfaccia il cittadino/utente/elettore/donatore, il Terzo Settore ha saputo attrezzarsi. Pur non trascurando il fondamentale ruolo del volontariato, che trasferisce un’immagine di eccellenza del nostro Paese nel panorama internazionale e il fatto che in Italia la tv resti il mezzo prevalente di informazione e intrattenimento per gran parte della popolazione, va riconosciuto l’apporto irrinunciabile dell’attività face to face dei dialogatori che intercettano, informano e convertono i potenziali donatori attraverso il contatto stradale che resta di fondamentale importanza, così come la gestione della presenza sul web.
Infatti, da tempo, e forse ancora più velocemente che non le aziende di consumo, il non profit ha raccolto la sfida della digitalizzazione, articolando e adeguandosi alla proliferazione dei cosiddetti touchpoint – vale a dire le occasioni, i “luoghi” e i pretesti di contatto dei potenziali donatori – per rispondere all’evoluzione del panorama dei donatori. Ad esempio, a questo preciso scopo, molte Ong annoverano tra le proprie fila social media manager capaci di portare sul web il racconto dell’organizzazione, di trasportare in rete le storie dei beneficiari in modo accattivante e convincente e, quando necessario – come nel corso della recente polemica sui soccorsi in Mediterraneo e i sospetti sulla complicità tra Ong e scafisti – di reagire con prontezza e professionalità, contenendo le fake news, sgonfiando gli attacchi degli haters e fornendo cifre, fatti e opinioni esperte.
L’ACCELERAZIONE DELLE ALLEANZE STRATEGICHE
Il settore si presenta come un universo estremamente composito, popolato da una vasta gamma di organizzazioni, di dimensioni differenti – dalle minuscole onlus, fortemente radicate su un territorio relativamente ristretto, alle grandi organizzazioni, espressione italiana di iniziative multinazionali, a volte globali: vi si può dunque trovare ispirazione per tutte le “misure” di partito o movimento politico. Ciò che si ravvisa, specialmente nel gruppo delle maggiori, ma talvolta anche presso piccole organizzazioni, e la crescente capacitàè di fare rete, attraverso l’identificazione di realtà che condividono la medesima causa umanitaria e gli stessi principi, attivando gli interessi comuni e raccogliendo attorno a essi le forze e i fondi. O attraverso l’estensione della propria raccolta fondi attingendo a danaro messo a disposizione da istituzioni straniere e destinato a progetti.
LO STATO DI RIFLESSIONE PERMANENTE
Sollecitato da uno stato permanentemente problematico, legato alla propria condizione di stakeholder principale nelle situazioni di crisi umanitaria e di bisogno, il settore approccia in modo critico e continuativo l’evoluzione della società, e si mantiene mentalmente in uno stato di permanent crisis nell’accezione positiva della regolare riflessione e analisi. A questo bisogno corrisponde, tra le varie iniziative, la regolare raccolta di dati e informazioni di scenario generale e di scenario competitivo, alla ricerca di spunti e concetti che sfidino l’abitudine e stimolino la generazione di nuove idee; lo stesso vale per il monitoraggio di indicatori che segnalino ogni minimo mutamento nella fiducia che i donatori esprimono nei confronti di ciascuna organizzazione: infatti, neppure questo settore è al riparo da quell’atteggiamento di disincanto ormai radicato nei cittadini, che mantiene il credito di fiducia nei confronti delle istituzioni in precario equilibrio, in condizioni di fragilita, e lo rende soggetto a sfaldamento al primo segno di deviazione dalla rotta attesa. Così come nel settore for profit, anche il non profit ha infatti compreso l’intrinseca relazione che esiste tra fiducia e reputazione, nonché la capacità propulsiva che la reputazione ha nel guidare la raccolta fondi, così come guida i profitti del settore privato. E sulla raccolta fondi si gioca la sopravvivenza e il buon funzionamento del settore umanitario.
Queste poche osservazioni per ribadire che l’azione di fundraising non si può improvvisare: ne sanno qualcosa le numerose organizzazioni che vivono delle donazioni dei cittadini. Rappresenta una forma di coinvolgimento basata sulla fiducia, richiede trasparenza, correttezza, accountability, eticità, coerenza con le strategie comunicative messe in atto a livello nazionale e locale.
Nonostante ne vada della loro sopravvivenza, i partiti non sembrano disporre al momento attuale di grande dimestichezza con il fundraising e di competenze adeguate. Ecco allora che il manuale di Raffaele Picilli e Marina Ripoli può colmare le principali lacune e rappresentare un utile strumento per inquadrare i fondamenti teorici, le tecniche e i modelli organizzativi del fundraising per le forze politiche.
Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos e Chiara Ferrari, group director Ipsos
Marina Ripoli, Raffaele Picilli, Come raccogliere fondi per la politica. Manuale di fundraising e comunicazione per partiti, movimenti e candidati, Rubbettino editore, 2018