Che cosa possiamo fare (a Bruxelles e a Roma) per sostenere la Tunisia? Su quali binari immaginare una nuova strategia che consenta a Tunisi di costruire un percorso di stabilizzazione istituzionale che produca occupazione, quindi sottragga i giovani al rischio di reclutamento tra i foreign fighters?
Punto di partenza la gestione della rivoluzione dei Gelsomini. Èquello il momento da cui avviare una riflessione analitica e franca su ciò che è stato fatto e su ciò che sarebbe stato utile fare, forse meglio, per impedire all’Isis di avere quell’influenza in un Paese strategico per le sorti del versante euromediterraneo. E per una serie di ragioni, geopolitiche e sociali.
La Tunisia in quella macroregione è una realtà democraticamente avanzata. Ha un ruolo significativo nel dossier libico, in quello legato allo sviluppo infrastrutturale del versante nord africano e nelle dinamiche connesse alla nuova fase mediorientale che si intrecca con la Siria, il ruolo del Cairo, la stagione anti Isis in Iraq e il nuovo corso irianiano dopo l’accordo sul nuleare.
Ma anziché minare l’estremismo militante, le nuove libertà delle primavere arabe hanno forse consentito ai militanti stessi di reclutare i giovani tunisini disoccupati tra i 16 e i 22 anni. Sono numerosi i ragazzi convinti che nel post Gelsomini poco sia stato fatto per creare posti di lavoro o frenare una polizia che molti ancora chiamano “il sovrano”. Il New York Times ha quantificato in 2mila e 500 i cittadini tunisini transitati in Siria e in Iraq per unirsi al gruppo Isis nel solo 2014.
Proprio perché la Tunisia è il Paese delle contraddizioni e tradizionalmente è quella terra laica che guarda all’Europa, non si può non immaginare una sorta di nuova strategia di sviluppo che abbracci il sud del Paese, che facca della cooperazione la sua clava operativa, che sfrutti l’appeal italiano in loco ma armonizzandolo con le esigenze concrete (come l’assenza di uno sportello bancario italiano, un freno a mano per le nostre imprese costrette a rivolgersi agi altri competitors).
Ed ecco il ruolo di Bruxelles: farsi promotore di un intervento ad hoc che, se condotto con le coordinate auspicate, potrà sortire un doppio risultato. Da un lato stimolare una ripresa interna, coadiuvando gli sforzi del governo locale di coalizione nella decisiva stagione che si sta aprendo, anche in chiave libica.
Dall’altro contare fattivamente sul ruolo italiano che potrà farsi tanto più reale e determinato, quanto più saprà leggere i riverberi locali di decisioni prese altrove.
In quel fazzoletto di acque l’Italia è un molo naturale piazzato lì da dove si può ricominciare a tessere una tela funzionale al nord Africa e alla stessa Ue: ma per farlo sarà imprescindibile dotarsi di una visione e di una strategia che non sia di breve periodo, ma poggi su solide gambe e su menti davvero operative.
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