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Cosa cela la divergenza tra Bergoglio e l’arcivescovo di Boston O’Malley. Parla Alberto Melloni

Durante il suo viaggio in Cile e Perù, Papa Francesco, rispondendo alle domande dei giornalisti sul “caso” del vescovo di Osorno Juan Barros, accusato di aver coperto i crimini di pedofilia di padre Fernando Karadima, quest’ultimo importante figura di religioso carismatico e formatore di gran parte del clero cileno, condannato nel 2011 dal Vaticano a seguire una “vita di preghiere e penitenza”, si è apertamente schierato in difesa del prelato spagnolo. “Il giorno che mi portano prove contro il vescovo Barros, parlerò. Non c’è una sola evidenza contro di lui. Questa è calunnia. Chiaro?”, ha detto Bergoglio ai microfoni degli inviati.

La vicenda anima il dibattito in Cile già da diversi anni, e in questi ultimi giorni, in coincidenza con la visita di Bergoglio, ha dato vita a manifestazioni di piazza e a critiche incendiarie verso Barros. L’arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley (nella foto), cardinale francescano minore e presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, subito dopo le parole di Francesco ha diffuso una nota che è sembrata essere particolarmente critica verso le parole del pontefice, in cui ha affermato che “è comprensibile” che le dichiarazione del Papa siano fonte di “grande dolore ai sopravvissuti”. E che determinate posizioni possono dare l’impressione di un “abbandono” nei confronti di “coloro che hanno subito violazioni riprovevoli della loro dignità umana, relegando i sopravvissuti ad un esilio screditato”.

In ritorno dal viaggio apostolico, parlando con i giornalisti come è solito fare, Francesco si è poi scusato per le parole utilizzate, nel caso queste abbiano ferito qualche vittima, ribadendo però sostanzialmente la sua posizione. “La parola prova non era la migliore, direi piuttosto evidenza. Nel caso di Barros, ho studiato e ristudiato, non ci sono evidenze per condannarlo. E se condannassi senza evidenza o senza certezza morale, commetterei io un delitto di cattivo giudizio”, ha detto Bergoglio.

Formiche.net ha parlato di questa vicenda, prima della conferenza stampa in aereo del pontefice, con lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, rettore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna e editorialista di Repubblica.

Che il “caso Barros” sarebbe stato oggetto di discussione durante il viaggio del Papa, era già ampiamente previsto. Ma che avrebbe creato attriti interni al Vaticano, e in questi termini, era molto meno prevedibile. Ci spiega professore che sta succedendo?

Io non darei un peso così grande alla dichiarazione di O’Malley, perché ha detto che lui non conosce la vicenda di Barros. Allo stesso tempo ha però ricordato un principio importante, sul quale mi sembra che il papa abbia dato le prove del suo consenso in modo molto chiaro. Ovvero la linea condivisa sul fatto che nei casi di stupri commessi dal clero deve valere non il favor rei ma il favor victimae. In questo caso specifico, il Papa non pensa che si tratti di favor rei, ma semplicemente di calunnia. Che cioè è convinto che ci sia stata un’orchestrazione calunniosa nei confronti di un vescovo, Barros, e che quindi non c’è una questione di vittime inascoltate, ma di calunnie. Mentre le accuse contro Barros dicono che essendo stato lui collaboratore di un prete stupratore pervertito, non avrebbe fatto abbastanza per smascherarlo, o forse addirittura avrebbe saputo e non ha agito.

Però le associazioni delle vittime dicono addirittura che Barros era presente nel momento dello stupro. L’immagine è abbastanza forte. 

Sarebbe una vicenda piuttosto singolare, perché di solito chi è presente in un caso di stupro è uno stupratore. Io non ho assolutamente idea se Barros sia colpevole o no, però non stiamo parlando di una vittima che accusa qualcuno, ma delle vittime di un uomo a cui erano legati in tanti nella Chiesa argentina. Il Papa ritiene l’accusa a Barros calunniosa: non è un cambio di linea, o una rinuncia al darsi da fare per combattere gli stupri perpetrati dal clero. Anzi, è finalmente arrivato al pettine un nodo: se una volta volevi distruggere una persona consacrata o in sacris e la accusavi di eresia, la condannavi. Oggi invece l’accusa di essere coinvolto in vicende di stupri dei bambini e di bambine può avere lo stesso tipo di effetto. Tanto quanto è giusto che la Chiesa sia inflessibile nel trattare come figli le vittime, nell’ascoltarle, nel cercare di rendere loro giustizia, e nell’impedire il propagarsi di questo crimine maschile così vasto e così diffuso, tutt’altro che in ambito solo clericale. Mi sembra però altrettanto corretto pensare che possano esistere innocenti accusati.

Quindi il Papa è evidentemente persuaso dell’innocenza di Barros, anche perché è stato da lui stesso nominato nel 2015, quando le accuse erano già state tutte formulate.

Sì. L’unica cosa però, di cui io non so nulla, riguarda alcune parole che Francesco ha espresso durante un’udienza, che mostrano come il Papa è convinto che Barros sia stato giudicato e assolto in un’inchiesta giudiziaria, che però di fatto non c’è stata.

L’inchiesta di Karadima è caduta in prescrizione, nonostante un procuratore cileno abbia accolto la ricostruzione delle vittime. Quindi Bergoglio potrebbe avere fatto un errore di valutazione?

Potrebbe essere che il Papa è stato informato di un’inchiesta giudiziaria risolta in assoluzione di cui però non c’è riscontro. Io non conosco la vicenda da dentro, tuttavia mi sembra legittimo pensare che anche se il Papa ha una convinzione, questa non può essere usata per dire che c’è stato un cambio di linea. Anche perché Francesco ha portato elementi importanti, e decisivi, in questa vicenda. Come il fatto che la questione non è affatto del clero pedofilo ma dei vescovi ignavi, dei vescovi che consideravano cioè figli i preti e figliastri le vittime.

Questo è chiaro anche per il fatto che a Santiago il papa ha incontrato le vittime degli abusi, e lo stesso O’Malley è indicato come una figura molto vicina a Francesco, anche per via degli incarichi a lui affidati. Perciò questa contrapposizione è risultata inaspettata. A me è parso quasi che stavolta il Papa abbia fatto un piccolo passo indietro e la Chiesa un piccolo passo avanti, riequilibrando in questo modo il fatto che molta fiducia, su questa questione, viene solitamente riposta nel papa e molta meno, invece, nella Chiesa. 

Infatti la questione del clero pedofilo non si risolve col papato, ed è stata oberata da un’illusione ecclesiologica papista quando venne sottratta alle conferenze episcopali e affidata all’ex Sant’Uffizio contro le stesse, con l’idea che un tribunale centrale giudicasse meglio. Mentre invece proprio un tribunale centrale, anche applicando il principio del favor rei che è un sacrosanto principio giuridico, ha generato la grande quantità dei problemi e dei casini. La questione non si risolve quindi aspettando che il Papa faccia o meno dichiarazioni di tolleranza, ma col meccanismo di scelta dei vescovi, a cui l’unico requisito che in passato veniva richiesto era una certa accondiscendenza di stampo vagamente conservatrice, e poi, per il resto, che si arrangiassero. Molti di questi non erano invece in grado di fare i vescovi, cioè di conoscere i loro figli e figlie, stuprati, mentre il vescovo deve essere padre per gli stuprati. Non è il sindaco di New York che deve controllare Central Park di notte. Ma è uno che se non si comporta da padre nei confronti delle vittime viene meno ai suoi compiti. Io non so se su Barros il Papa abbia ragione o torto, ma che non si trasformi il caso in una questione di politica, altrimenti si ritorna all’idea che se il Papa strepita le cose si risolvono. Perché allora hanno strepitato anche gli altri Papi: Benedetto XVI strepitava più di tutti, ma non è stato questo che ha cambiato le cose.

Quest’idea dell’inutilità di un tribunale centrale ha inciso anche sul fatto che la commissione guidata da O’Malley è stata di recente chiusa, per la fine del suo mandato, e si dice che potrebbe anche non essere rinnovata? Era quindi sbagliata l’impostazione al problema.

Io semplicemente non credo che il problema sia quello di fare una inquisizione romana della pedofilia, ma che i vescovi siano capaci di fare i padri. Perché in caso contrario dovrebbero dimettersi, visto che non sanno fare la cosa che è loro richiesta.

Se il Papa ha parlato di calunnie significa che queste sono state in qualche modo orchestrate. Chi sarebbe allora l’orchestratore?

Non penso che si riferisse a un’orchestrazione delle vittime, non sono certamente loro gli orchestratori. Francesco ha usato un’espressione, quando in piazza parlando con i fedeli ha detto che sono stati dei gruppi di “sinistrorsi”. Ma è chiaro che l’argomento pedofilia ha una dimensione gigantesca, che a me sembra presa assai poco in considerazione: il fatto cioè che i maschi occidentali violentino i bambini e ammazzino le donne non mi sembra un problema della Chiesa ma dell’Occidente, in senso vasto. I maschietti di questo Occidente molto sviluppato pare che abbiano, in una parte piccolissima ma drammaticamente energica, problemi drammatici di questo tipo.

Il Papa in Perù ha infatti parlato anche di femminicidio. La questione è perciò quella del rapporto uomo-donna, e della loro alleanza, sulla quale Francesco spesso si pronuncia.

Certamente. Se qualcuno mi trova un solo vizio sociale che non ha attecchito anche nel clero, io do le dimissioni da professore. Tutti i vizi sociali hanno attecchito nel clero: dal nepotismo alla ruberia, dall’edilismo a qualsiasi altra cosa. Che poi il crimine dello stupro di bambini e di bambine, che noi con un neologismo scivoloso chiamiamo pedofilia, esista anche nel clero, impressiona drammaticamente, e capiamo che attecchisce in quel contesto perché è un crimine che per sua natura ha bisogno di fiducia e di intimità. Ma è un crimine tutt’altro che clericale, che va perseguito senza esitazioni e paure, e senza inventare ragioni di Stato ecclesiastiche, che sarebbe un’eresia vera e propria, che porta fuori dalla fede cristiana. Ma nel perseguire questo, riconoscere che ci siano casi di accuse che non sono vere mi pare una possibilità da prendere in considerazione, al netto del fatto che il Papa abbia visto giusto o si sia sbagliato su Barros.

Mi correggerà professore, ma quest’idea che tutti i vizi della società attecchiscano anche nella Chiesa non rischia di minare la sua stessa credibilità di fronte ai fedeli, sia nella figura del sacerdote quanto nell’idea della santità della Chiesa stessa?

Se Dio voleva fare una Chiesa di angeli mandava loro a fare i preti. Se ci ha mandato degli uomini, è stata una scelta del Padre eterno, quindi faccia lui. Vale anche per le altre religioni, per i rabbini, i pastori, le pastore. Sono esseri umani normali.

Non ci sono quindi possibili riforme da mettere in campo, per cercare di contrastare il ripetersi di queste vicende?

La riforma è quella di prendere dei maschi risolti per fare i preti, perché la pedofilia non è un crimine celibatario ma maschile, praticato da celibi, sposati, etero o omosessuali, indipendentemente dalle condizioni sociali e di vita.

Il tema quindi è anche quello di selezione anche nei seminari. Può essere che la crisi di vocazioni ha inciso anche in un certo allentamento nelle selezioni all’interno dei seminari?

Il calo generale delle classi dirigenti non riguarda solo il clero, basta guardare alla politica. Non sono solo i seminari ad essere scesi di livello qualitativo, ma anche tutti gli altri settori. Non vedo in questo caso una specificità delle classi dirigenti cristiane, nel calo etico dei maschi che hanno il ruolo specifico del prete. Al contrario, lo vedo insieme al resto.

Una tendenza quindi di livellamento delle classi dirigenti già in atto nella società, e in maniera complessiva.

Sì. Per la pedofilia noi possiamo solo sperare che nella nostra società, oggi, la denuncia di questo crimine sia più facile rispetto ad altri contesti più patriarcali e più sessisti.


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