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Il barocco romano dal Teatro Argentina a La Valletta

Il 25 gennaio, l’Accademia Filarmonica Romana ha inaugurato, nell’ambito della stagione 2017-2018, una serie di concerti al Teatro Argentina. Sede bellissima, nonostante il restauro degli anni Settanta che ne ha rovinato il foyer e una certa trasandatezza nella manutenzione, dove nel 1816 Il Barbiere di Siviglia di Rossini ebbe la prima esecuzione mondiale e che Stendhal elogiò come uno dei più eleganti teatri in Italia.

Per l’inaugurazione della serie di concerti è stata scelta La Sete di Christo, oratorio di Bernardo Pasquini, uno dei caposcuola del barocco romano. Anche se ha un numero di cultori e partiture molto significative, la musica del barocco romano è meno nota e meno eseguita di quella del barocco veneziano, napoletano e bolognese. Ciò nonostante ha influito moltissimo sulla formazione di Georg Friedrich Händel, che da giovane effettuò un lungo soggiorno a Roma proprio negli anni in cui la scuola romana del barocco era al massimo del suo fulgore. Lo stile terso che la caratterizzava si percepisce, ad esempio, ascoltando un lavoro di Händel ora di grande successo Il Trionfo del Tempo sul Disinganno, da anni in repertorio al Teatro dell’Opera di Zurigo e di cui in Italia si sono visti due egregi allestimenti, alla Sagra Malatestiana nel 2008 e al Teatro alla Scala nel 2016.

L’oratorio La Sete di Christo è stato affidato a un ensemble di specialisti: il Concerto Romano diretto da Alessandro Quarta. È significativo il fatto che il giorno dopo il concerto di Quarta con i professori d’orchestra e i quattro solisti (Francesca Aspromonte, Francisco Fernández-Rueda, Luca Cervoni, Mauro Borgioni) sono partiti alla volta di Malta poiché scelti dalle iniziative musicali in corso a La Valletta, dichiarata Città Europea della Cultura per il 2018.

La Sete di Cristo è un oratorio del 1689 diviso in due parti (complessivamente di circa un’ora ed un quarto) in cui si mette in musica la parte finale della Crocefissione. I quattro interpreti incarnano la Vergine, San Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Il libretto di Nicolò Minato è tratto dai Vangeli ma si coniuga con lo spiccato senso drammatico di Pasquini, autore di ben diciotto opere liriche e uno dei compositori prediletti da Cristina di Svezia durante il suo esilio a Roma, nonché dal Cardinal Pietro Ottoboni.

Dall’esecuzione si avvertono gli accenti vocali di Alessandro Stradella, la rotondità tematica di Alessandro Scarlatti e gli stilemi di Georg Friedrich Händel – tutti compositori che hanno ascoltato Pasquini in gioventù e ne hanno appreso quelli che sono diventati elementi dei loro rispettivi stili.

È personalissimo di Pasquini il senso teatrale, anche in una composizione concepita per esecuzioni, in Chiesa o in forma di concerto, non nei numerosi teatri della Roma della seconda metà del Seicento. Nella prima parte, ad esempio, i quattro personaggi sono divisi in coppie; ciascuno di loro ha però un rapporto molto speciale con Cristo in croce. Nella seconda parte l’oratorio diventa corale, con le parole di Cristo – Sitiol (Ho sete) – affidate al baritono.

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