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In Iran il brusco risveglio per Italia ed Europa

Di Giulio Terzi

Shirin Ebadi, avvocato, giudice, strenuo difensore dei diritti umani e Premio Nobel per la pace, è da otto anni in esilio forzato dal suo Paese, l’Iran. Ha dovuto lasciarlo insieme alla sua famiglia dal giorno in cui si è scatenata la brutale repressione del regime contro l’Onda verde, la rivolta di milioni di iraniani contro le elezioni truccate che avevano nel 2009 rinnovato il mandato di Ahmadinejad alla presidenza. Shirin Ebadi ha tracciato in un’intervista a Repubblica un quadro di grande chiarezza su quanto sta realmente accadendo.

La testimonianza dovrebbe far rabbrividire quella non piccola parte di Italia che si dimostra dogmaticamente filo iraniana; strenua propagandista del “riformismo democratico” della presidenza Rouhani; del “valore assoluto” di una partnership a tutto campo dell’Italia e dell’Europa con gli Ayatollah nella lotta al terrorismo dell’Isis (ma attenzione, non a quello di Al Qaeda con cui l’Iran ha documentatamente collaborato in chiave anti occidentale); del “contributo fondamentale” che le forze armate iraniane e le milizie sciite dirette e finanziate da Teheran darebbero in Siria, Iraq, Libano,Yemen alla stabilità regionale, e magari anche alla sicurezza di Israele, alla non proliferazione delle armi nucleari e di quelle chimiche (ma quale credibilità ha ancora l’accordo nucleare con l’Iran dopo il catastrofico esito di quello chimico con Assad?).

Tante sono le meraviglie del “nuovo Iran” propinate da chi ci governa e domina l’informazione nazionale. Basta qualche articolo sulle rivolte in corso in tutto l’Iran a farci perdonare i propagandisti impenitenti di una verità completamente falsificata?

Credo si debba stare attenti alle finte conversioni. Ancor più se si tratta dell’Italia dell’entourage renziano, del mondo dell’informazione “politically correct” mogheriniana e antitrumpista, della miriade di imprenditori, banchieri, uomini d’affari e affaristi che si sono buttati a capofitto – sulle note suadenti della narrativa ufficiale di Renzi e Gentiloni dopo l’accordo JCPOA dell’estate 2015 – verso un chimerico “Eldorado” collocato esattamente dove ogni persona sufficientemente informata sul regime Khomeinista avrebbe ben dovuto riconoscere l’esistenza di un profondo e scuro baratro, fatto di enormi incognite e instabilità, di inaccettabili rischi finanziari, di mercato, e di sicurezza nazionale.

Ebadi ha dichiarato: “Stiamo assistendo all’inizio di una grande protesta che può superare l’Onda verde del 2009. In Iran, e non da oggi, c’è una gravissima crisi economica. La corruzione in tutto il Paese è a livelli spaventosi.La fine elle sanzioni non ha portato benefici alla gente.Le sanzioni americane continuano a essere in vigore e ciò scoraggia gli investimenti di tutti gli stranieri. L’Iran ha un’altissima spesa militare. Le persone non tollerano più la disoccupazione così alta, il dilagare della corruzione, il clima di censura, la spaventosa differenza tra ricchi e poveri”.

Gli auguri che dovremmo riservare alla politica estera italiana ed europea per il 2018 sono di ritrovare la forza di principi enunciati e ribaditi da un’infinità di impegni Europei e nazionali, vincolanti sotto il profilo politico e giuridico. Sono principi che impongono risposte immediate e convincenti per un’umanità – in queste ore quella dei dimostranti vittime della sicurezza iraniana, almeno una decina di morti e più di un migliaio di arresti – che non ne può più di un sistema dittatoriale corrotto e violento, e invoca dall’Occidente solidarietà e aiuto. La convinzione di dover impegnare l’Europa e l’Italia in tale direzione è condivisa da molti nel Parlamento Europeo, nei Parlamenti nazionali e in componenti significative dei partiti e dell’opinione pubblica europea. Il governo italiano deve esprimersi con grande fermezza, così come ha immediatamente fatto l’America. Altre riedizioni della strategia del terrore in Iran devono comportare un netto cambiamento nelle relazioni che Roma ha imprudentemente instaurato negli ultimi due anni con Teheran persino nei delicatissimi settori della Difesa e della sicurezza nazionale. Per non parlare della rischiosissima sovraesposizione del mostro sistema bancario e industriale sul mercato iraniano.

Quando si osserva la situazione iraniana, si constata che negli ultimi due secoli della sua storia, così come in quella di altri paesi, vi sono state tra le ”forze profonde” che hanno trasformato il corso degli eventi delle correnti considerate come minoritarie e marginali, trascurate dal sentire dominante, che hanno poi di colpo preso il sopravvento.

Quanto sta ancora accadendo in queste ore viene collegato, soprattutto dalla dirigenza iraniana, al conflitto per “proxies” con l’Arabia Saudita. Sarebbe peraltro superficiale de-contestualizzare le dimostrazioni e il forte malcontento che da quasi una settimana toccano una ventina di città e, di fatto, l’intero Paese.

Da tempo si sviluppano in Iran rivolte contro il regime. Quelle che hanno soprattutto preoccupato gli Ayatollah risalgono alla fine degli anni ’90, sempre più frequenti da quando l’esperimento riformista di Khatami è naufragato nel 1999 sulla rivolta universitaria a Teheran, due anni dopo il suo arrivo alla presidenza. Sin da allora si delineava con evidenza drammatica il peso politico di una componente del regime destinata a contare sempre di più nel sistema della sicurezza interna e della repressione. Proprio durante la rivolta degli studenti contro la nuova presidenza “riformista” ventiquattro Comandanti dei Guardiani della Rivoluzione intimavano a Khatami l’urgenza di cambiare registro, sottolineando come la “democrazia” conducesse alla “anarchia”.

A vent’anni di distanza – due decenni durante i quali ci si è ingegnati in Europa a scovare esempi di democrazia nei vari “esperimenti riformisti “interni al regime – il messaggio continua a essere sempre lo stesso: l’establishment conservatore non esiterà mai a utilizzare la forza contro il dissenso e l’opposizione politica. E’ così avvenuto che la macchina repressiva dall’inizio degli anni 2000 non si sia più fermata. Per fare un esempio, oggi essa vede una media di almeno tre impiccagioni al giorno, migliaia di oppositori inghiottiti dalle carceri della sicurezza nazionale, violazioni dei diritti umani stigmatizzate costantemente dalle Nazioni Unite. Il giorno successivo alla vergognosa “rielezione”di Ahmadinejad è partita l’Onda verde del 2009, con una terribile scia di sangue che la repressione ha provocato. Per poi arrivare al capitolo siriano, dove i sette anni di guerra non hanno certo visto Teheran in un ruolo di moderatore. Vi sono testimonianze di dirigenti della Lega Araba sulla indifferenza mostrata da Assad agli accorati appelli dei leader arabi, affinché rispondesse ragionevolmente alle proteste di genitori indignati perché i loro ragazzi erano stati arrestati e torturati a causa di semplici “graffiti” sui muri. Ma Teheran insisteva in senso diametralmente opposto, per dare una sanguinosa lezione a chi instillava anche solo il pensiero di riproporre in Siria qualcosa che somigliasse all’Onda verde di due anni prima. La repressione del regime iraniano si applica quindi anche allo spazio di influenza esclusiva che Teheran si attribuisce, nei quattro Paesi del “crescente sciita”, Siria, Iraq, Libano, Yemen.

Il percorso della rivolta contro il regime teocratico, e il sempre più marcato distacco di una popolazione giovane e istruita (gli universitari sono passati in due decenni da centocinquantamila a un milione e mezzo)‎ contro un sistema di potere visto come completamente corrotto, repressivo, coinvolto in avventure militari all’estero, guidato da una visione messianica non condivisa da molti iraniani, specialmente i più giovani, si sta probabilmente radicalizzando. Certo, è agevole per la dirigenza iraniana addebitare la colpa a istigazioni saudite.Come se le infiltrazioni nella comunità sciita dell’Arabia Saudita fossero irrilevanti. Ma penso sia irrealistico credere che le contestazioni di questi giorni non siano prodotte da una deriva del Khomeinismo sempre meno tollerabile per il popolo iraniano.

È triste che molti in Europa si ostinino a negarlo perché gli affari valgono di più di qualche decina di migliaia di oppositori politici giustiziati, e di molti di più incarcerati da quel sistema. Alla fine sarà il popolo iraniano, nel Paese e i milioni di espatriati, a determinare la svolta decisiva: e non per effetto di finti riformisti che continuano a insanguinare il Paese.

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