Da giorni ormai sono impegnati a scrivere gli scenari del dopo voto. È un esercizio normale e non fa certo scandalo. Rischia di essere uno sforzo vano, però. Da qui al 5 marzo c’è di mezzo il voto che, in questo caso, rappresenta una incognita particolarmente grande.
Non solo ci si trova per la prima volta dinanzi ad una competizione squisitamente tripolare ma si toccherà con mano il funzionamento di una legge elettorale che presenta caratteristiche nuove. Un elemento poco considerato nel dibattito è il valore numerico del voto disgiunto. Quanti elettori indicheranno un candidato votando una lista di uno schieramento diverso?
È un errore dare i numeri (alcuni istituti demoscopici stanno svolgendo ricerche puntuali su questo) ma è evidente che l’annullamento – doveroso ed automatico – di queste schede può incidere, sia pure di poco, nel già incerto risultato. Vi è poi un altro aspetto, tutt’altro che marginale.
Nelle coalizioni di centrosinistra e centrodestra il voto potrebbe andare al candidato senza che la croce sia apposta sul singolo partito. Anche qui, i casi possono essere limitati ma non vi è dubbio che pur restando l’indicazione a favore della coalizione, i partiti principali potrebbero averne danno.
Nel caso del Pd non cambia molto considerato che è di gran lunga il primo partito del centrosinistra. Nel centrodestra al contrario una penalizzazione di Forza Italia sarebbe rischiosissima nella gara con la Lega. Come si vede sono tanti i dettagli che possono incidere sul risultato finale.
Per questo, il sommesso consiglio ai media (ed ai partiti) è di spendere meno tempo ed energie sul dopo voto e concentrarsi magari nello spiegare ai cittadini come esprimersi correttamente nelle urne.