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Chi (non) sostiene le elezioni di Nicolás Maduro in Venezuela

Benvenuti nel processo elettorale del Venezuela. Uno show anticipato che vorrebbe legittimare il governo del presidente Nicolás Maduro, ma evidenzia la mancanza di garanzie e diritti nel sistema democratico venezuelano.

Dopo anni di resistenza e molte posticipazioni, Maduro ha ceduto: si andrà a votare. Il 23 gennaio ha annunciato che le elezioni presidenziali previste per il mese di dicembre del 2018 sarebbero state anticipate all’8 aprile. Mentre il resto dei Paesi latinoamericani che andranno alle urne nel 2018  ha fissato la data con almeno otto mesi di anticipo, in Venezuela le elezioni saranno organizzate in meno di 90 giorni. Efficacia o strategia?

Tuttavia, nel processo elettorale venezuelano sembrano mancare condizioni di trasparenza. Da una parte, quasi tutti i poteri dello Stato sono in questo momento sotto il controllo del chavismo: Tribunale Supremo di Giustizia e Consiglio Nazionale Elettorale rispondono esplicitamente ai desideri del presidente. L’unica istituzione che sarebbe indipendente dalla corrente governativa è l’Assemblea Nazionale, ma è stata bloccata dall’Assemblea Costituente nominata da Maduro.

ELEZIONI CON UN UNICO CANDIDATO

Oltre a mantenersi lo stesso sistema elettronico di votazioni che aveva presentato anomalie nell’ultimo processo elettorale (qui l’articolo di Formiche.net), nei preparativi express delle prossime elezioni, il Tribunale Supremo di Giustizia ha deciso che la Mesa de la Unidad Democrática (Mud), coalizione dei partiti dell’opposizione, è inabilitata a partecipare nelle elezioni. L’argomento: la scheda unica della Mud viola apertamente il divieto alla doppia militanza. Per poter partecipare, la Mud dovrebbe riscriversi di nuovo, secondo la Sala Costituzionale, e il processo dura sei mesi. Questione di tempi? Nessuna sorpresa. Così le elezioni presidenziali in Venezuela avranno un unico candidato possibile: Maduro.

DEMOCRATICI VS DITTATORI 

Ronal F. Rodríguez, professore e ricercatore dell’Osservatorio del Venezuela all’Università del Rosario, non crede che in Venezuela la battaglia sia tra il bene e il male. In un articolo pubblicato sul quotidiano colombiano El Espectador ha spiegato: “Vent’anni dopo la prima vittoria di Hugo Chávez, il Venezuela è davanti a un confronto tra democratici e dittatori. I primi promuovono la pluralità, la differenza, la discussione e la costruzione di consensi; gli altri credono di avere ragione e sono disposti a sacrificare chi in teoria difendono per poter imporre la loro visione”.

LA FIDUCIA DELLA RUSSIA 

La comunità internazionale guarda con sospetto il processo. L’unico Paese che ha espresso fiducia nell’accelerato processo elettorale in Venezuela è stato la Russia. In un comunicato diffuso dal ministero degli Affari esteri russo, il governo di Vladimir Putin ha detto di essere sicuro dello sviluppo normale delle elezioni e ha condannato la campagna degli Stati Uniti contro il Venezuela. “Quando si legge materiale sul Venezuela – scrive la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zajarova -, generalmente sono pubblicazioni ispirate al nord, e quando costantemente si leggono titoli con la parola ‘democratizzare’ vengono in mente due questioni: quali sono i veri obiettivi e compiti della democrazia? Si tratta invece di un tentativo di influenzare la situazione del Venezuela per screditare la loro democrazia?”.

L’INVITO DEGLI STATI UNITI

Rex Tillerson, segretario di Stato americano, ha dichiarato dal Texas che è convinto che ci sarà un cambiamento in Venezuela: “Noi vogliamo che sia pacifico. Quella è sempre la miglior alternativa”. Prima di cominciare un tour in America latina, il capo della diplomazia statunitense ha detto che “nella storia del Venezuela e altri Paesi sudamericani, molte volte l’esercito è l’agente di questo cambiamento quando le cose vanno molto male o quando la leadership non può più servire alla gente. […] La soluzione più facile però è che Maduro lasci volontariamente il potere. […] Sono sicuro che ha buoni amici a Cuba che potranno dargli una casa vicino alla spiaggia”.

L’ambasciata degli Stati Uniti in Venezuela, ha scritto su Twitter che il governo americano “crede in un dialogo genuino e spera che il regime di Maduro abbia il coraggio di riformare il Consiglio Nazionale Elettorale e permetta la partecipazione della Mesa de la Unidad Democrática nelle elezioni presidenziali convocate in una data concordata da entrambe le parti”.

L’AMICIZIA DELLA COREA DEL NORD

Il regime di Maduro stringe legami anche in Asia Orientale. Diosdado Cabello, primo vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela e numero due del governo venezuelano, ha pubblicato una foto su Twitter con l’ambasciatore della Corea del Nord a Caracas, Ri Sung Gil. Il politico non ha spiegato i motivi dell’incontro, ma ha detto soltanto che stanno aumentando i rapporti di amicizia con il regime di Kim Jong-un. Cabello ha definito Sung Gil un “eccellente ambasciatore di una repubblica democratica”.

LE SANZIONI DELL’UNIONE EUROPEA

E l’Europa? Più sanzioni che parole. Dopo le nuove misure contro sette alti funzionari del governo di Maduro, tra cui Diosdado Cabello, l’Unione europea è rimasta in silenzio sulla crisi venezuelana. Sollecitata sull’espulsione dell’ambasciatore spagnolo in Venezuela, Bruxelles ha condannato la misura e ha espresso solidarietà con la Spagna: “L’Unione europea condanna la decisione delle autorità venezuelane di dichiarare persona non grata all’ambasciatore spagnolo a Caracas. […] È necessario annullare la decisione per mantenere i canali diplomatici aperti”.

Catherine Ray, portavoce dell’Alto Rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, ha inviato un messaggio con la posizione dei 28 membri dell’Ue: “Quando l’Unione europea assume sanzioni è sempre con una giustificazione e spiegazioni forti. Non è mai per un obiettivo in sé, ma per stimolare le autorità venezuelane a ripensare le decisioni prese”. Bruxelles ha approvato l’embargo per la vendita di armi e materiale di repressione al Venezuela e ha deciso di bloccare i conti correnti e vietare i viaggi a sette membri del governo di Maduro, “che hanno messo in pericolo lo Stato di diritto e il rispetto all’ordine costituzionale”.



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