“Nessuno dei nostri amici a Wall Street li ama, ma noi li amiamo”. Con queste parole il presidente americano Donald Trump è tornato a parlare di dazi, in un comizio elettorale in Pennsylvania. Quello che colpisce in questa frase è evidentemente il riferimento ai grandi campioni della finanza internazionale che nel cuore economico di downtown a New York hanno il loro headquarter. L’inquilino della Casa Bianca non ha fatto nomi ma il riferimento è facilmente intuibile. La storia d’amore di Trump con Goldman Sachs sembra infatti essere arrivata al capolinea. Proprio la scelta protezionista del presidente ha causato l’uscita di scena del principale consigliere economico, Gary Cohn, un economista con lungo e significativo passato nella tolda di comando della più influente banca d’affari americana. Si è trattato di un passaggio non indolore. Lo ha fatto capire lo stesso Trump ma anche Lloyd Blankfein, capo assoluto di Goldman Sachs, che aveva subito twittato per esprimere la sua delusione per la decisione del presidente.
L’uscita di Cohn è stata solo l’ultima di una serie di abbandoni da parte di ex dirigenti di Goldman. È stato preceduto all’inizio di quest’anno da Dina Powell, ex vice consigliere per la sicurezza nazionale e figura tutt’altro che marginale. Ad agosto era stato Steve Bannon, anche lui proveniente dalla scuola della banca d’affari, a dire addio. E a luglio, dopo soli 11 giorni come direttore delle comunicazioni, Anthony Scaramucci era già fuori dalla porta della White House. Goldman Sachs resta comunque dentro l’Amministrazione grazie alla figura di Steven Mnuchin, potente segretario del Tesoro. Difficile quindi dire quanto diminuirà l’influenza di questa banca che è tradizionalmente molto presente nello studio ovale, sia con i governi democratici che repubblicani. Goldman Sachs ha prodotto segretari del Tesoro, capi dello staff della Casa Bianca e alti consiglieri economici. Sempre bipartisan.
La fiducia di Trump nei confronti del talento degli uomini Goldman è stata una sorpresa per alcuni, vista la sua retorica anti-Wall Street, durante la campagna elettorale quando sosteneva che non sarebbe stato in debito con i banchieri e accusava la rivale Clinton di avere legami con questo mondo finanziario che non le avrebbero consentito di fare le riforme necessarie. Il futuro presidente aveva persino attaccato i suoi avversari repubblicani proprio sui loro legami con Goldman, sfidando il rivale Ted Cruz la quale moglie del senatore lavorava per la banca. “Conosco i ragazzi di Goldman Sachs: hanno un controllo totale su di lui”, aveva detto Trump di Cruz. “Proprio come hanno il controllo totale su Hillary Clinton“.
Entrato alla Casa Bianca, si è subito circondato proprio di dirigenti Goldman. Perché? Intervistato da Associated Press, prova a spiegarlo William Cohan, autore di “Money and Power: come Goldman Sachs governa il mondo”. “Non dimenticare che Goldman non ha mai voluto fare affari con Donald Trump”, ha spiegato aggiungendo che quindi per il presidente si è trattato di “un modo per dire (Ah, ah, ora ho alcune delle migliori persone della banca che lavorano per me)”.
Una sorta di rivincita. Che ha portato, dunque, benefici anche per Goldman e le altre importanti banche d’affari Usa. Dal suo insediamento, il principale risultato legislativo di Trump è stato un taglio di $ 1.5 trilioni di tasse, fortemente applaudito da Wall Street ed è stato possibile proprio grazie al lavoro svolto dai “ragazzi d’oro” Cohn e Mnuchin. Adesso, con la scelta di introdurre i dazi su acciaio ed alluminio, le strade sembrano allontanarsi. E non deve essere stato un caso che il Wall Street Journal, editato da Murdoch che di Trump è rimasto uno dei più rilevanti sostenitori, abbia pubblicato una indiscrezione per cui Blankfein sarebbe in uscita da Goldman Sachs. Le scosse telluriche non sono banali nel cuore del sistema del potere americano. Sarà interessante vedere se quello fra Casa Bianca e Goldman Sachs sarà solo una separazione momentanea o un divorzio.