Dal 1994 in poi ogni tornata di elezioni politiche svoltesi prima con il Mattarellum e poi con il Porcellum ha segnato un’alternanza nel conseguimento della maggioranza parlamentare tra centro sinistra e centrodestra. I due sistemi elettorali, di tipo maggioritario il primo e proporzionale il secondo con premio di maggioranza e sbarramento, favorivano detta alternanza che alla fine e con tutte le difficoltà di tenuta al Senato si sta concludendo in questi giorni con il governo a guida Pd.
Nel 2013 l’affermazione del Movimento 5 Stelle come terzo polo non è riuscita ad impedire il proseguimento dell’alternanza. L’evoluzione del quadro politico e l’esordio della nuova legge elettorale fanno intendere che il sistema dell’alternanza alla guida del governo avrà qualche difficoltà in più ad attuarsi all’indomani di lunedì 4 marzo. Non è un caso che la convergenza delle più importanti forze politiche ad eccezione del Movimento 5 Stelle abbia prodotto una legge elettorale fatta con lo scopo di confondere l’esito ed impedire la formazione di una maggioranza stabile tenuta insieme da un programma.
Il molto probabile primo posto del centrodestra non dovrebbe essere accompagnato da numeri significativi e, per conseguenza, sia alla Camera che al Senato, non basteranno una ventina di parlamentari sopraggiunti a tenere in piedi un governo che sarà chiamato a prendere decisioni importanti e sofferte soprattutto nel campo della finanza pubblica. Lo scenario è quindi quello di un parlamento diviso in tre grandi aree non eguali ma ciascuna in grado di condizionare rilevantemente l’esito della formazione del governo.
Su questo, lo dicono tutti sperticandosi in elogi al Capo dello Stato, sarà Sergio Mattarella a suggerire se non ad imporre un criterio di definizione dell’assetto di maggioranza parlamentare e di Governo in modo non diverso dal Presidente Napolitano che nel 2013 venne richiamato in servizio proprio per dirimere la questione e favorire la soluzione della crisi.
La lettura del dopo 4 marzo può quindi operarsi, a mio parere, con lo studio delle scelte e delle indicazioni espresse da Mattarella in questi tre anni. Innanzitutto nella sollecitazione a fare la nuova legge elettorale, a non osteggiarla poi nella forma del Rosatellum e a non rinviare la scadenza elettorale. È del tutto evidente che il Presidente abbia già chiaro una possibile composizione di maggioranza e che questa sua impostazione non potrà essere modificata dall’esito del voto.
Poche battute sui partiti. Il Pd innanzitutto: finito il disegno del partito della nazione e la speranza di sfondamento al centro abbozzata alle europee del 2014, Renzi cerca di tenere botta difendendo il suo popolo tradizionale fatto di pensionati a medioalto reddito, insegnanti e pubblico impiego rinunciando ad un dialogo con il mondo delle partite iva. Buona parte del mondo dell’imprenditoria si è ripresa l’apertura di credito che gli aveva fatto ma non gli muove guerra convinta che il sistema europa troppo incisivo per gli equilibri di finanza pubblica, imporrà una presenza di un affidabile Pd in un qualsiasi governo.
Berlusconi e Forza Italia sembrano ancora nell’euforia dello scampato periodo dall’estinzione temuta nel 2013. In questi anni il Cavaliere pur fuori dal Parlamento non è stato osteggiato dal Pd ed ha già mandato a Renzi segnali chiari di legittimazione e di disponibilità a collaborare. Movimento 5 stelle e Lega, che insieme più di ogni altro, si sono battuti per andare velocemente al voto consapevoli del buon consenso intorno a loro, dopo il voto si placheranno ed accetteranno volentieri ricompense del tipo presidenze delle Camere, Commissioni e diritto di veto su questioni specifiche. Nessun dramma, anche LeU troverà pace nel comodo dei due piccoli ma piacevoli gruppi parlamentari.
Il paese dovrà aspettare, non è chiaro lo scenario mondiale ed europeo: i problemi di Trump, la rielezione di Putin, Brexit e le regole dell’UE impediscono in questa fase scelte forti. Sarà un brodino, i tempi lunghi per goderne gli effetti allontanerà la flat-tax, l’Europa farà finta di volerci un po’ più bene.
Niente di nuovo all’orizzonte e forse è quasi un bene così.