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Cose turche. Come cambia l’equilibrio geopolitico in Siria (e non solo) secondo Carlo Pelanda

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In Siria Assad ed Erdogan continuano a combattere le loro guerre nonostante la risoluzione Onu sul cessate il fuoco del 24 febbraio scorso? Nulla di cui scandalizzarsi, secondo Carlo Pelanda, politologo, economista ed esperto di relazioni internazionali. L’Onu semplicemente conta poco o nulla in un’era, quella postamericana, in cui le nazioni sono tornate a ricorrere alle armi senza che nessuno possa chiedergliene conto.

Ma se Assad sta eliminando i residui della ribellione, infierendo sull’enclave di Ghouta, è perché, a detta di Pelanda, è stata accettata da tutti la vittoria di Assad, che ora gode di una sorta di “consenso” per finire il lavoro e ricostruire uno stato forte. “Sta prendendo forma una nuova Siria”, è la convinzione di Pelanda, per il quale si sta andando verso una progressiva “stabilizzazione” dell’area. Anche Erdogan, le cui truppe ieri sono entrate ad Afrin, sta giocando questa complessa partita. Commettendo però l’errore di inimicarsi ulteriormente i curdi che si gettano tra le braccia degli americani. Che li potranno usare quando avranno il desiderio di destabilizzare il Medio Oriente.

Prof. Pelanda, la risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza quasi un mese fa parlava chiaro: trenta giorni di cessate il fuoco in Siria. E invece si combatte a tutto spiano. Come mai?

Lei mi deve dire un periodo dopo gli anni ’50 in cui l’Onu abbia contato qualcosa. L’Onu è un guanto che viene riempito da mani imperiali quando ne hanno bisogno. Adesso che è tornata la possibilità di fare la guerra, l’Onu conta di meno. L’Onu può diventare un guanto, una cosmesi, un veicolo diplomatico quando non è possibile fare la guerra, ma se è possibile fare la guerra, si fa la guerra. È il ritorno della normalità storica dopo la fine della pax americana.

Le truppe di Erdogan sono entrate ieri ad Afrin. Quali sono le mire del sultano?

Erdogan si sta mettendo in trappola: gli fanno vedere la carotina, ossia la possibilità di bonificare i curdi dal territorio per lui rilevante. Ma in realtà è una trappola perché Erdogan si sta incastrando e sarà poi costretto a trattare. Questo è l’ennesimo errore della politica estera turca negli ultimi dieci anni.

Però per fare la guerra ai curdi, Erdogan ha avuto luce verde da Putin. Che gioco sta facendo quest’ultimo?

Per la Russia, la Turchia è un paese chiave. La missione della Russia è in qualche modo condizionare la Turchia, per svariati motivi. La più grande concentrazione di gas facilmente estraibile in offshore si trova nella cuspide meridionale del Mediterraneo orientale. La Russia deve quindi rinforzare la propria presenza nelle basi siriane, però per farlo ha bisogno della Turchia. Se il prezzo è fargli ammazzare un po’ di curdi, non c’è problema. La Turchia ha già un piede fuori la Nato però gli americani hanno ancora le loro basi nel Paese. Quindi per la Russia tenere gli americani sotto pressione attraverso Erdogan è fondamentale. Poi c’è una pressione straordinaria della Cina per prendersi la Turchia e anche proporre armamenti. La Russia quindi non compete solo con l’America in questo scacchiere, ma deve preoccuparsi anche dei movimenti della Cina. La Turchia è poi importante per la Russia per la vicinanza al Caucaso: lo scambio qui è che Putin da una mano a Erdogan ora e poi contraccambierà sul Caucaso quando ce ne sarà bisogno. C’è poi la questione dei gasdotti: la Russia ha bisogno di essere convergente con la Turchia per evitare di essere tagliato fuori da tutta la rete di gasdotti e oleodotti. La Turchia è un boccone molto buono.

E gli americani? Ci sono anche loro in Siria, con un presidio che è stato annunciato come permanente. Che cosa vogliono ottenere gli americani dalla presenza di un contingente in Siria?

La presenza degli americani serve a tenere accesa la miccia di un’enorme mina per tutta la regione: l’indipendentismo curdo. Che vale per l’Iran e la Turchia. Se si vuole destabilizzare la regione, i curdi sono un alleato necessario. Nei negoziati della nuova normalità storica – quella per cui si può tornare a fare la guerra, perché resta limitata – è chiaro che i curdi sono una bella arma. E visto che Ankara ha fatto questo grande errore di non accordarsi con i curdi ma di fargli la guerra, adesso gli americani possono scatenare quando vogliono i curdi. Se Erdogan ha la sfacciataggine di allearsi con Putin, gli americani ricambieranno a tempo debito sfruttando la loro amicizia con i curdi.

Intanto, a Ghouta è l’inferno: il sobborgo di Damasco è assediato dai governativi e bombardato dagli aerei russi. Assad e Putin hanno deciso di chiudere definitivamente il capitolo guerra civile?

Assad e Putin hanno deciso che è arrivato il momento di fare piazza pulita della ribellione. E questa volta per farlo hanno trovato il consenso di tutti per fare la bonifica. C’è il consenso per permettere ad Assad di ricostruire uno stato forte, la cui assenza è valutata uno svantaggio da tutti. Quindi c’è il consenso di tutti per liquidare la ribellione sunnita una volta per tutte. Il motivo per cui anche Erdogan ha deciso di prendere un rischio enorme uscendo dai suoi confini per combattere i turchi è perché ha capito che si sta formando una nuova Siria e vuole la sua sfera d’influenza. È stato importante anche l’accordo tra l’Arabia Saudita e la Russia, che si sono accordate affinché i sauditi non ingeriscano più nell’area. Probabilmente i sauditi hanno ottenuto dai russi qualche garanzia sul prezzo del petrolio e sul dopo-Assad. Stiamo arrivando ad una sorta di stabilizzazione della situazione, ne senso che sta andando creandosi un nuovo equilibrio del terrore, che è la formula più solida delle relazioni internazionali: gli americani sono lì con i curdi, a nord c’è la Turchia, il regime di Assad ricostruisce uno stato siriano protetto dalla Russia, la Russia in cambio garantisce che non ci siano eccessi, il Libano non viene destabilizzato per via della sua vicinanza all’offshore del gas. Rimane da capire come si comporteranno Israele ed Hezbollah, ma io vedo formarsi un nuovo equilibrio geopolitico nell’area.


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