Il gruppo presieduto da Giacinto della Cananea ha fatto un mezzo miracolo perché ha trasformato programmi confusi, mal scritti e velleitari in un documento che a prima vista appare non irragionevole, anche se fortemente lacunoso. Volendo concentrarsi innanzitutto sulle cose positive, si osserva che sono sparite le tre priorità della Lega, che erano state in parte condivise nel programma elettorale del M5S: abolizione della legge Fornero, flat tax e immediato rimpatrio degli immigrati illegali. Addirittura nel documento non si parla neanche di revisione della legge Fornero, perché si prende atto che su questo punto non vi è il consenso del Partito Democratico.
Forse per questo stesso motivo, l’assenza di riferimenti al tema nel programma del Pd, non vi è nulla sul rimpatrio dei clandestini; non si trova nemmeno un rifermento alla volontà di rafforzare l’azione di contrasto agli sbarchi rispetto a quanto sin qui già fatto da Minniti. Nel documento non si trovano termini come “sbarchi”, “clandestini”, “rimpatri”, “taxi del mare”.
Sulle tasse, si parla genericamente di rivedere il sistema al fine di migliorare il rapporto fra fisco e contribuenti, ma non si propone neanche di ridurre il numero di aliquote. I termini “aliquote” e “scaglioni” non compaiono.
Se questo documento fosse condiviso dal vertice del M5S, non si capisce su che basi potrebbe continuare il dialogo con la Lega di Salvini. Si aggiunga che nella premessa del documento, è sottolineata con forza la necessità di mantenere ferma la collocazione internazionale dell’Italia, nell’ambito dell’alleanza atlantica nonché dell’Unione Europea. Non vi è nemmeno un riferimento alla richiesta di rivedere le sanzioni nei confronti della Russia.
Altri dati positivi sono la sparizione delle due proposte chiave del M5S: l’abolizione del jobs act, con reintroduzione dell’art. 18, e l’introduzione del reddito di cittadinanza. Quest’ultimo è sostituito con la proposta di potenziare gli strumenti esistenti di contrasto alla povertà, ossia essenzialmente il Reddito di inclusione introdotto dai governi Renzi e Gentiloni. È sparita anche la parola “vitalizi”, forse perché questa era presente solo nel programma del M5S.
Possiamo dunque dire che in questo documento non è rimasto più nulla dei proclami elettorali populisti, quelli che hanno ammorbato gli italiani in tutti i talk show degli ultimi mesi e anni.
Questo non significa che ciò che rimane sia un programma di governo. L’elencazione delle tante cose importanti da fare può essere più o meno condivisibile, ma mancano i due ingredienti fondamentali per trasformare un elenco in un programma di governo: una definizione cogente delle priorità – le dieci ‘priorità’ elencate sono di gran lunga troppo generiche – e l’indicazione di cosa si intenda fare con il bilancio pubblico. In assenza di un accordo su questi due punti qualunque governo partirebbe azzoppato.
Sul piano dei contenuti, aggiungiamo che manca, perché mancava nei programmi dei partiti, l’individuazione dei due problemi chiave dell’economia italiana di cui dovrà preoccuparsi chiunque governi: la bassa crescita della produttività, che permane sia pure in forma attenuta grazie alle riforme fatte in questi anni, e il debito pubblico. Su quest’ultimo vi è un cenno ai rischi di instabilità finanziaria, ma non vi è alcuna indicazione di cosa si intenda fare per evitare che tali rischi, che sono molto concreti, si materializzino.