Assistiamo in questi giorni del proseguire della discussione sulle perdite del business italiano a causa delle sanzioni contro la Russia. Si fanno gli equilibrismi con delle cifre prive di ogni fondamento economico. Le cifre quanto meno realistiche ormai sentiamo persino dal Vicepresidente della Camera dei Deputati, che invece dovrebbe rappresentare i più alti standard di autorevolezza, imparzialità e responsabilità istituzionale.
Ciò premesso vorrei ribadire il mio concetto, espresso più volte, di dare a tale discussione un rigore scientifico operando con le cifre e l’informazione imparziale pubblicata dalle istituzioni cosi rispettevoli come l’Istat, la Banca d’Italia, l’Eurostat, il Centro internazionale del commercio ecc.
Se mettiamo da parte il discorso populistico osserviamo che le sanzioni introdotte dall’Ue riguardano solo un numero limitato di azioni nei settori militare-industriale, energetico e di tecnologia e merci di doppio uso, cioè esclusivamente quello che dovrebbe fermare l’aggressione armata della Russia contro l’Ucraina, nonché il tentativo del Cremlino di annettere di una parte del territorio dell’Ucraina – un paese sovrano e indipendente.
Queste sanzioni non hanno colpito in nessun modo i produttori del settore agroalimentare o della moda, o dell’industria più in generale.
Le perdite subite dalle imprese italiane sono dovute alle cosiddette “controsanzioni”, introdotte proprio dalla Russia. Queste controsanzioni russe sono una risposta insensata da parte del Cremlino che ha danneggiato l’export italiano nel settore agro-alimentare, come carne, pollame, legumi, frutta, formaggi e salumi.
Se guardiamo le figure dell’export italiano di questi prodotti vediamo che tali perdite sono assolutamente non percepibili dall’economia italiana, in particolare, tenendo in considerazione la crescita eccezionale delle esportazioni italiane verso i paesi esteri. Questa stima è anche confermata da parte dell’Ice la quale, nel rapporto annuale del 2016, accerta che “considerando specificamente i prodotti italiani colpiti dall’embargo russo, la flessione delle loro esportazioni complessive ammonta a circa 151 milioni di euro nel biennio 2014-15”. Quindi, da qui si vede perfettamente un’influenza irrisoria di questa cifra sul totale dell’export italiano verso la Russia che ammontava più di 16 miliardi di euro nello stesso periodo.
Quindi, di quali problemi nel commercio con la Russia parliamo se, solo nell’anno scorso, l’export italiano nella Russia è salito del 19,3%. Il principale fattore che ha causato una significativa riduzione dei flussi commerciali nella Federazione Russa è stato il crollo dei prezzi mondiali sul petrolio che per un paese dipendente dall’export ha causato un drastico calo della capacità di acquisto della popolazione russa e una significativa svalutazione del rublo. I proclami a togliere le sanzioni senza che i militari russi smettano di uccidere gli ucraini, si ritirino dalle zone dell’Est Ucraino e liberino la Crimea non costituiscono, quindi, un motivo prettamente economico ma, piuttosto, una legittimazione della politica criminale del Cremlino!
Conseguentemente, il mio augurio sarebbe che tale discussione esca fuori dalla cornice populista, ispirata dai propagandisti del Cremlino, per lasciar posto ad un dialogo serio ed imparziale. Smettiamo di cercare di impaurire gli imprenditori e la società civile italiana con delle favole sull’effetto delle sanzioni, instauriamo una discussione responsabile sui rapporti dentro il triangolo Ucraina-Italia-Ue nel commercio globale con i grandi protagonisti dell’economia mondiale come gli Stati Uniti, Cina, America Latina, paesi dell’Asia e dell’Africa.
Di fronte alle sfide comuni lanciate della politica del protezionismo condotta dai diversi leader mondiali dobbiamo evitare di sprecare il tempo per le discussioni create ad arte concentrandoci invece sul rafforzamento della collaborazione tra i nostri Paesi!