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Così l’asse fra Egitto e Francia preme per le elezioni in Libia. Tempi giusti?

In base alla road map delineata dall’inviato dell’Onu Ghassam Salamé, entro quest’anno si dovrebbero tenere elezioni generali in Libia. La scommessa del Palazzo di Vetro è che l’apertura delle urne possa porre fine allo stallo che si è creato da tre anni a questa parte in Libia, con la spaccatura tra est ed ovest, tra il Parlamento di Tobruk e il governo di Accordo Nazionale di Tripoli presieduto da Fayez al-Serraj, per non parlare delle varie lacerazioni tra tribù, clan, milizie, e svariati gruppi di interesse.

A credere che le elezioni possano rappresentare un passaggio risolutivo ci sono, tra gli altri, l’Egitto e la Francia, che la settimana scorsa hanno discusso dell’argomento in un giro di colloqui che si è tenuto al Cairo alla presenza del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del suo ministro degli esteri Sameh Shoukri, del segretario della Lega Araba Ahmed Abul-Gheit e di una delegazione francese capitanata dal ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian.

Il portavoce della presidenza egiziana, l’ambasciatore Bassam Radi, ha riferito che Francia ed Egitto sono convinti che si siano registrati dei progressi in Libia e che, in conseguenza di ciò, è auspicabile chiamare i libici al voto entro l’anno. Il portavoce del ministero degli esteri egiziano Ahmed Abu Zeid ha espresso soddisfazione per il coordinamento tra Egitto e Francia sulla questione libica e per gli sforzi congiunti affinché si consolidi un consenso nazionale in Libia. Abu Zeid ha anche riferito dei passi avanti fatti in questi mesi nei colloqui tra rappresentanti militari della Tripolitania e della Cirenaica mediati dall’Egitto, che secondo il portavoce hanno fatto registrare una significativa convergenza di posizioni tra le due parti.

Ma la realtà sul terreno appare molto diversa dagli auspici dei francesi e degli egiziani. Il loro ottimismo si scontra con la difficoltà con cui Salamé sta portando avanti il suo piano per organizzare le elezioni e pacificare il Paese.

Salamé aveva delineato un percorso che prevedeva l’approvazione di limitati emendamenti all’Accordo Politico Libico firmato a Skhirat il 17 dicembre 2015, la convocazione di una convenzione nazionale e, terzo ed ultimo passaggio, le elezioni. Un percorso che si è scontrato però con l’irriducibile intransigenza delle varie fazioni libiche.

Perché la road map di Salamé possa trovare uno sbocco positivo, sono necessari alcuni passaggi che si stanno rivelando assai critici, tra i quali l’approvazione di una nuova legge elettorale e la convergenza dell’est e dell’ovest sui termini della Dichiarazione Costituzionale approvata il 29 luglio 2017. Una Dichiarazione che però il Parlamento di Tobruk si è sempre rifiutato di fare propria.

Giacché le pressioni di Salamé su Tobruk affinché approvasse la nuova bozza di Costituzione si sono rivelate finora inutili, l’inviato sta perseguendo un’altra strada: ottenere il consenso del Parlamento solo dopo che la nuova Costituzione sia stata emendata dal Constitutional Drafting Assembly, ossia l’organismo che l’ha stilata l’anno scorso.

Qualora anche questa strada si rivelasse un vicolo cieco, come appare probabile, Salamé sta pensando ad una soluzione diversa: designare un nuovo organismo che si faccia carico di gestire il processo elettorale, inclusa la redazione di una nuova legge elettorale. Un altro passaggio carico di incognite.

Nel frattempo, la settimana scorsa l’Alta Commissione Elettorale nazionale ha presentato una propria proposta di legge elettorale: in base al suo meccanismo, l’80% dei seggi del nuovo parlamento sarebbe assegnato ai partiti mentre il restante 20% sarebbe destinato ad organismi espressione della società civile. Il punto critico di questo progetto è che esclude i candidati indipendenti, ossia coloro ai quali sono stati assegnati tutti i seggi nelle elezioni del giugno 2014. È un problema che rischia di rivelarsi un ostacolo insuperabile.

Anche il presidente al-Serraj, nel frattempo, ha avanzato una sua proposta per uscire dallo stallo: il suo suggerimento è di assegnare al Supremo Consiglio Giudiziario il compito di stilare la nuova legge elettorale. Una mossa pensata per favorire il raggiungimento di un consenso tra il governo di Tripoli e il Parlamento di Tobruk e propiziare la convocazione della tornata elettorale. Ma la fiducia nei confronti di Serraj da parte dei parlamentari dell’est è ai minimi termini, per cui è inutile coltivare speranze anche su questo percorso.

Numerosi, dunque, sono gli ostacoli che si frappongono fra i propositi di Salamé e una realtà sul terreno segnato dalla discordia, dal caos se non dall’anarchia. Una situazione nella quale le elezioni volute dall’inviato dell’Onu rischiano di fallire miseramente e di provocare ulteriori tensioni tra le varie fazioni libiche, che certamente non accetteranno i risultati di un voto tenuto secondo regole che non avevano incontrato il loro consenso. La strada per la pacificazione della Libia sembra essere ancora lunga e in salita.

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