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Europa, flat tax e investimenti. Un governo politico fa bene anche al Sud

Di Armando Siri
Flat tax

Il risultato delle ultime elezioni ha dato la rappresentazione plastica del disagio che vive il Paese nella sua interezza, che trova declinazioni caratteristiche al nord nella richiesta di minori imposte e maggiore semplificazione fiscale e burocratica e al sud di maggiore sostegno alla disoccupazione. Ma anche nord e sud, apparentemente divisi, hanno un minimo comune denominatore, ovvero la richiesta di maggiore sicurezza e di fermare il fenomeno dell’immigrazione clandestina.

Nonostante la spaccatura – economica soprattutto – sia evidente, l’unico rischio che corre ora la politica è quello di non dare seguito a quanto hanno chiesto gli elettori: sviluppo, lavoro, sicurezza e regole certe di convivenza. La democrazia è salvaguardata dal rispetto e dalla dialettica di cui debbono essere interpreti responsabili le forze politiche in campo. Per questo siamo impegnati in ogni modo a trovare una sintesi per un governo forte che sappia dare risposte concrete e non si nasconda dietro i diktat dell’Ue o, peggio, sia ostaggio del regolamento di conti interni tra partiti. Patti chiari e rispetto per gli elettori, questa è la linea guida tracciata da Matteo Salvini.

Il sud, contrariamente a quanto hanno sostenuto alcuni, non chiede assistenza, ma chiede opportunità di lavoro e pari dignità con il resto del Paese. Il tempo dei contributi a pioggia, di cui hanno beneficiato le consorterie di potere locale ma non i cittadini, è finalmente finito. Ed è per questo che noi abbiamo previsto nel nostro programma un piano di investimenti per infrastrutture di 22 miliardi in 5 anni che vanno ad aggiungersi a quelli già stanziati; fondi che debbono servire a realizzare l’Alta portabilità ferroviaria, l’adeguamento delle reti locali e l’adeguamento dei porti e dei retroporti per poter far diventare il nostro Paese, proprio a partire dal Mezzogiorno, la più importante piattaforma logistica d’Europa. Oggi questo settore, che intercetta i traffici provenienti da Estremo e Medio Oriente attraverso il Canale di Suez vale 5 milioni di posti di lavoro e 500 miliardi di euro di giro d’affari l’anno. Perché mai le navi che passano di fronte alle nostre coste debbono salire fino a Rotterdam o Anversa quando potrebbero sdoganare in Italia e far risalire i container su ferrovia in tempi molto più veloci? Ad oggi mancano le infrastrutture e il nostro compito è completarle per portare sviluppo e lavoro.

E ciò vale anche per il centro Italia. Basti pensare alle zone colpite dal terremoto, ancora lontane dalla disponibilità di linee di collegamento adeguate. Non è accettabile che ci vogliano più di cinque ore per andare da Ascoli a Roma. Bisogna dunque adottare una visione di sistema, guarire la malattia e non i sintomi e la Flat tax rientra perfettamente nell’ottica di far diventare fiscalmente attrattivo il nostro Paese, garantendo progressività, crescita e lavoro.

Altro punto fondamentale è sicuramente quello dell’Europa, un’opportunità solo se non impone regole assurde ma lavora solidalmente con un autentico spirito di crescita e coesione, cosa che al momento non accade. Basti pensare anche solo a quanto l’Ue, ad esempio, ha penalizzato i pescatori del Mezzogiorno imponendo regole che hanno distrutto la filiera dei piccoli imprenditori del settore, che si trovano ora a competere senza alcuna protezione con i colleghi dell’estremo oriente. Lo stesso vale per agricoltori e allevatori. L’Europa ha dimostrato di essere a trazione franco- tedesca ed è inaccettabile per noi che siamo tra i primi tre contributori della Ue. Urge ridiscutere le regole affinché siano a favore di tutti e non solo di alcuni. Anche in questo caso non vogliamo sussidi, ma rispetto per la nostra storia, i nostri talenti e le nostre peculiarità economiche e sociali.

È evidente che, a differenza di Francia e Germania, che hanno una struttura economica fatta di grandi aziende fortemente capitalizzate, il nostro Paese ha un tessuto economico molto diverso, fatto di 4,5 milioni di micro imprese che hanno da tre a cinque dipendenti ai quali le banche non fanno credito e che non godono di nessuna forma di aiuto o sostegno dallo Stato. Se ci sono delle regole comuni, debbono rispettare le caratteristiche di tutti i contraenti altrimenti presto o tardi salta il sistema.



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