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Macron scavalca l’Onu e mette d’accordo i libici per nuove elezioni

“È un passo cruciale”, ha commentato il Presidente francese Emmanuel Macron: i leader libici riuniti a Parigi hanno concordato un percorso istituzionale e costituzionale che prevede le elezioni presidenziali e parlamentari entro il 10 dicembre.

Il primo ad annunciarlo è Taher el Sonni, alto consigliere del premier designato dalle Nazioni Unite, Fayez Serraj, presente al vertice.

E così, mentre l’Italia è in stallo, ancora senza un governo dopo oltre ottanta giorni dal voto, la Francia prova a intestarsi il dossier esteri più caro a Roma e trova una qualche quadra: non è un’accordo, è un protocollo di intesa, se funzionerà nessuno può dirlo ancora.

Nella dichiarazione congiunta sottoscritta dalle principali anime delle controversie politiche interne alla Libia si legge: “Le parti si sono impegnate a stabilire le basi costituzionali per le elezioni e adottare le necessarie leggi elettorali entro il 16 settembre 2018 e tenere elezioni parlamentari e presidenziali il 10 dicembre 2018”.

Il documento approvato è asciutto, diviso in otto punti, e afferma che “qualsiasi ostruzione o interferenza con il processo di voto non sarà tollerata, e i responsabili saranno ritenuti responsabili”, inoltre sottolinea che le forze di sicurezza saranno “responsabili della salvaguardia del processo elettorale” (con una nota: quali forze di sicurezza? La Libia è un paese senza stato, dove anche quelle che vengono definite unità di polizia o di guardia costiera sono in realtà milizie dirette dal loro vecchio padrone, sebbene, magari, rientrate nei gruppi di appoggio allo pseudo governo Onu di Tripoli. E qui: molte delle milizie dell’Ovest, quelle misuratine, per esempio, odiano le altre dell’Est, ma la Francia vorrebbe che fossero queste ultime a guidare le forze armate libiche).

Alla riunione macroniana erano presenti i leader degli schieramenti opposti in Libia, e c’erano rappresentanti di una ventina di paesi, tra cui i vicini libici (attori iper-interessati alla crisi come l’Egitto o la Tunisia), le potenze europee, gli Stati Uniti, la Russia, diverse organizzazioni internazionali.

“Riaffermiamo l’esistenza e la necessità di una base costituzionale per organizzare un’elezione e la necessità per tutti di lavorare mano nella mano per assicurarsi che le elezioni siano un successo”, ha detto Serraj durante una conferenza stampa poco dopo la riunione.

Il leader del processo onusiano ha aggiunto di aver trovato una soluzione per fermare gli scontri con alcune fazioni rivali, soprattutto con quella rappresentata da Khalifa Haftar, maresciallo di campo che si è intestato anni fa un’operazione militare contro il terrorismo con chiare ambizioni politiche sulla Libia – ha stabilito un centro di potere a Bengasi, sulla costa orientale, che si oppone completamente al processo onusiano. Haftar ha forti legami con Egitto ed Emirati Arabi, link utilizzati come entratura dalla Francia per stabilire i contatti col capo-milizia.

“È positivo già soltanto il fatto che tutti i partiti della Libia presenti alla conferenza di Parigi abbiano concordato [su una] scadenza temporale che porta alle elezioni a dicembre”, ha detto ad al Jazeera il primo ministro maltese, Joseph Muscat. “Speriamo, e aiutiamoli a mantenere questo importante impegno” – Malta ha forti interessi sulla crisi, perché soffre la Libia come rubinetto dei flussi migratori diretti sul proprio territorio.

Macron, che aveva già cercato di riunire Haftar e Serraj lo scorso luglio, senza successo, ha giocato da conciliatore interessato. Il presidente vuol far sentire il peso francese sul Nordafrica, e per questo ha avviato da tempo operazioni diplomatiche e militari a sostegno dei paesi della regione, scendendo verso il Sahel.

Però è evidente che l’intesa di Parigi rischia di indebolire il processo onusiano già avviato, sebbene il vertice abbia avuto riconoscimento internazionale – la posizione è stata espressa in un’intervista al Mattino anche da Giuseppe Perrone, ambasciatore italiano in Libia, che ha parlato di “iniziative non regolamentate” che rischiano di sovrapporsi e creare altre divisioni.

Macron ha sottolineato durante la sua conferenza stampa che questa è stata “la prima volta che questi leader libici hanno accettato di lavorare insieme e hanno approvato una dichiarazione congiunta”: un richiamo, non si sa quanto involontario, agli sforzi diplomatici precedenti, finiti senza questo risultato (quelli dell’Onu, e quelli dell’Italia). (Anche se in realtà quella dichiarazione congiunta sembra piena di exit strategy).

C’è poi un’altra questione: “Riteniamo che le condizioni [di vita nel Paese] non siano favorevoli per elezioni libere ed eque” spiega a Formiche.net, Hanan Salah, senior researcher di Human Right Watch che segue il dossier libico. L’organizzazione ha diffuso uno statement in cui spiega che Macron, più che altro, “dovrebbe assicurare che i quattro leader libici riuniti a Parigi il 29 maggio 2018 si impegnino a migliorare i diritti umani e assicurare condizioni favorevoli a un voto libero ed equo in vista di eventuali elezioni programmate”.

Hrw ricorda che questo di oggi è il secondo tentativo di Parigi, dopo che il precedente non aveva portato risultati: anzi, “i gruppi armati continuano a commettere abusi senza timore di essere ritenuti responsabili, mentre i conflitti armati e le divisioni politiche protratti hanno decimato l’economia e causato una crisi dei diritti umani e umanitaria“.

D’altronde, anche le Nazioni Unite avevano sostenuto pubblicamente le elezioni generali in Libia da tenere nel 2018, ma il rappresentante speciale del segretario generale in Libia, Ghassan Salame, ha affermato nel suo report di maggio al Consiglio di sicurezza, che per tenere elezioni “devono essere predisposte le condizioni adeguate”.

Ieri il Consiglio militare di Misurata e quelli di Zintan, Khoms, Sabrata, Zliten e altre città della Tripolitania, hanno presentato una documento in cui hanno chiesto di intavolare un dialogo ampio, senza la necessità di rincorse politico-diplomatiche: nessuno in rappresentanza di questi gruppi di potere era a Parigi.

(Foto: Twitter, @TaherSonni)

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