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Di Maio e quei confini da non oltrepassare

Di Maio, confini

​La politica è un esercizio difficile che si esercita in molti modi e per quanto le azioni siano decisive, non meno rilevanti sono le parole che costituiscono il core business di chiunque si presenti davanti all’elettorato. Che siano espresse sui social media, in tv o in comizi, poco importa. ​Le parole sono macigni e a volte superano la volontà con chi – con superficialità – le formula.​ La storia italiana è drammaticamente ricca di episodi in cui parole sbagliate hanno avuto conseguenze nefaste per il Paese.​

Luigi Di Maio​ è un leader giovane e brillante. Dopo aver condotto con successo una campagna elettorale che ha portato il Movimento 5 Stelle a raggiungere il 32% si è ritrovato nelle sabbie mobili della trattativa per la formazione del governo. Un passaggio delicato e per lui, anche personalmente, fondamentale, esiziale. Si capisce quindi la tensione e che dopo sessanta giorni “vissuti pericolosamente” (dal punto di vista politico, ovviamente) i nervi possano non essere troppo saldi. Eppure, quanto detto in televisione nella trasmissione “In mezz’ora” non può restare senza commento.

“Il rischio che vedo io è un rischio per la democrazia rappresentativa. Io non minaccio nulla ma il rischio di azioni non democratiche può esserci”​. Il rischio di azioni non democratiche? Cosa vuol dire? La conduttrice del programma non glielo ha chiesto ma il riferimento (un ricatto al presidente della Repubblica?) è a dir poco inquietante. Dalle fila del Pd si sono subito levate le critiche, evocando persino l’accusa di eversione. Al di là delle polemiche politiche, inevitabili, resta un certo sgomento. A darne voce, fra i tanti, anche Marco Bentivogli sindacalista della Cisl (a capo della Fim).

“Ho sostenuto in queste settimane il dialogo per un governo programmatico, ma amici qui la cosa è scappata di mano: dal 1945 al leader del primo partito italiano non è mai stato consentito un linguaggio simile. E i giornalisti fanno a gara per ospitarlo. #Primachesiatroppotardi”, ha scritto Bentivogli su Twitter.

Il riferimento ad azioni non democratiche non è stato l’unico a suscitare inquietudine. Di Maio infatti ha voluto anche fare un altro riferimento a dir poco insolito. “In questi giorni ​- ha detto il leader del M5S – ​ho incontrato degli esponenti delle forze dell’ordine che hanno condotto una grande inchiesta che non possiamo dire ma che è arrivata alla ribalta nazionale. Dopo quell’inchiesta il loro nucleo è stato smembrato”. Ma a cosa ​e a chi ​allude Di Maio? Il riferimento potrebbe essere forse legato all’inchiesta sulla centrale acquisti della pubblica amministrazione, Consip, alle accuse contestate dalla procura di Roma al capitano del Noe, Giampaolo Scafarto, e all​e vicende che hanno visto protagonisti ​i​l capitano Ultimo, Sergio De Caprio, e ​la sua squadra passata dal Nas ai servizi segreti (Aisi) per poi rientrare nei ranghi dell’Arma dei Carabinieri.

Fabrizio Cicchitto, ​che ha una certa esperienza parlamentare e conoscenza della storia della Repubblica, è saltato sulla sedia ed ha voluto fare una dichiarazione. “Ora Di Maio non pu​ò​ lasciare le cose nell’indistinto facendo richiami generici a vicende evidentemente molto gravi, ma deve chiarire tutto con nomi, cognomi e circostanze perché altrimenti la sua sarebbe solo una operazione assai grave di provocazione. Infatti mentre è in atto una vicenda politica cosi difficile e complessa, introdurre elementi cosi forti di destabilizzazione riferiti alle forze dell’ordine è un atto di pura irresponsabilit​à”.

​Non sappiamo se chiarimenti verranno, ma non c’è dubbio che quando si maneggiano questi temi e si fanno riferimenti alla democrazia, alle inchieste giudiziarie e al rapporto con forze dell’ordine (anche dei servizi?) lo si debba fare con la massima cautela. Certo, non si può essere ingenui (tutti parlano con tutti, va da se) ma il ricorso a​d un​ linguaggio obliquo fatto di allusioni e non troppo velate minacce​ rappresenta un red line che on può essere superata. Quando è accaduto è stato un disastro. E non è una metafora​.

​Non dimentichiamo che, se la democrazia è in crisi, chi ha il 32% ha la maggioranza relativa della responsabilità.



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