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Non si viva da faraoni. Il monito di Papa Francesco ai vescovi

Jorge Maria Bergoglio

Tutti si aspettavano un discorso a braccio, improvvisato, almeno stando a quanto era stato comunicato. Invece stavolta Papa Francesco gli argomenti di cui discutere se li era appuntati su un foglietto, tenuto saldo sotto i suoi occhiali. E se la tematica in oggetto, in apertura dei lavori della settantunesima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che avrà luogo a Roma da oggi fino al 24 maggio, si sarebbe dovuta declinare nel titolo “Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo”, i punti toccati da Bergoglio nel suo discorso introduttivo sono ben concreti, per niente vaghi, generici o ancor meno ampollosi.

LE TRE PREOCCUPAZIONI DI BERGOGLIO

“Vorrei condividere con voi tre mie preoccupazioni, non per bastonarvi, ma perché mi preoccupano queste tre cose”, ha infatti affermato Francesco ai vescovi riuniti ad ascoltarlo, non appena presa la parola. “E non è peccato criticare il Papa, qui, si può fare”, ha aggiunto, con aria sommessa, dopo aver ascoltato il saluto iniziale del presidente della Cei Gualtiero Bassetti, che a sua volta ha invece citato i tre nuovi cardinali italiani nominati dal pontefice, ovvero Angelo Becciu, Angelo De Donatis e Giuseppe Petrocchi.

LA CRISI DELLE VOCAZIONI

I tre argomenti che il Papa ha affermato essere per lui, in qualche modo, fonte di angoscia sono, prima degli altri, la “crisi di vocazioni”. Ovvero “la nostra paternità”, ha spiegato con apprensione il Santo Padre. “Di questa emorragia ne ho già parlato, spiegando che si tratta del frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro, che allontanano i giovani dalla vita consacrata”, ha ricordato, evocando altre problematiche come la “denatalità”, il fatto cioè che viviamo “un inverno demografico”, gli “scandali” e “una testimonianza tiepida”. “Quanti seminari saranno chiusi nei prossimi anni per la mancanza di vocazioni, chi lo sa?”, ha domandato il pontefice con aria palesemente rattristata. “È brutto vedere questo entrare in una sterilità vocazionale senza rimedi efficaci. Non è un problema semplice, ma non riusciamo a trovare soluzioni”. Ma Bergoglio una sua proposta ce l’ha, e non ne ha fatto certamente mistero: “Una più stretta condivisione fidei donum tra le diocesi italiane, rafforzando sensus ecclesia e sensus fidei”, ovvero la possibilità di condividere la presenza di ecclesiali nella varie diocesi italiane, come generalmente viene fatto con altri Paesi, con impegno missionario. “Se potete farlo tra qualche diocesi è una creatività grande e bella”.

LA POVERTÀ EVANGELICA 

Il secondo argomento messo in luce da Bergoglio è uno dei punti caldi, e ormai classici, del suo pontificato: la “povertà evangelica” e la “trasparenza finanziaria”. “Per me sempre, la povertà è madre e muro della vita apostolica”, ha così spiegato. “Madre perché la fa nascere e muro perché la protegge. Senza povertà non c’è zelo apostolico e vita di servizio agli altri. E chi crede non può parlare di povertà e vivere come un faraone. È una brutta testimonianza parlare di povertà e vivere nel lusso, o gestire i beni della Chiesa come propri”. Così, l’esempio su cui Bergoglio esprime in maniera diretta il suo dispiacere emerge quando ha spiegato che “me fa molto male sentire che un ecclesiastico si è fatto manipolare gestendo in maniera disonesta gli spiccioli della vedova. Abbiamo bisogno di regole chiare e comuni, ciò per cui un giorno daremo conto al padrone della vigna. Abbiamo il dovere di gestire i beni con esemplarità”. Nonostante però, ha proseguito, “sono consapevole e riconoscente che nella Cei si è fatto molto negli ultimi anni sulla via della povertà e della trasparenza”. Ma “ancora si deve fare di più”, ha concluso.

L’ACCORPAMENTO DELLE DIOCESI

Al terzo posto c’è infine la “riduzione e l’accorpamento delle diocesi”. Tema antico, come affermato dallo stesso Bergoglio, che risale cioè addirittura alla prima metà del ventesimo secolo, “una esigenza pastorale studiata e esaminata più volte già prima del concordato del ’29”, e presente addirittura nelle parole del futuro santo Paolo VI, che “parlò di parlò di eccessivo numero delle diocesi”. Certo, “non è facile”, lo ha ammesso lo stesso Francesco. L’Italia è terra di tradizione e di cultura cattolica, e ci sono zone del Paese dove le diocesi rappresentano la vera ossatura culturale, dove i fedeli vivono in rapporto di stretta vicinanza con vescovo e parroci. Eppure, ha ribadito Francesco prima di lasciare spazio alla seduta a porte chiuse con i vescovi, “nel ’66 l’assemblea della Cei disse che era necessario ritoccare confini della diocesi o procederne all’unione. La congregazione per i vescovi del ’13 disso lo stesso. Stiamo parlando di un argomento datato e attuale, trascinato per lungo tempo e che sia giunta l’ora di chiuderlo al più presto. Non è facile ma si può fare qualcosa”.

IL SENSO DEL DISCORSO DI FRANCESCO

Quindi non un discorso di orientamento generale, magari sul tema della comunicazione, come probabilmente in molti si aspettavano. Ma l’indicazione di elementi molto concreti su cui andare ad operare, che entrano nel tema comunicativo al massimo per il rapporto tra il clero e il fedeli, in come l’atteggiamento dei pastori nell’amministrare i beni delle diocesi possa condizionare la loro credibilità e il loro operato. Presentati con realismo e pragmaticità. E chissà come si è entrati, durante lo svolgersi dell’incontro a porte chiuse, e si entrerà, nel merito dei problemi nei prossimi giorni.



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