Il governo di Pechino starebbe sfruttando investitori privati per acquistare tecnologie americane, soprattutto quelle classificate come critiche dagli apparati di difesa e sicurezza statunitensi.
UN PROBLEMA CRESCENTE
A sollevare il problema è un articolo pubblicato da Politico (giunto proprio in un momento di grandi tensioni commerciali, e di un tentativo di dialogo, tra i due Paesi), nel quale si racconta che, ad esempio, all’inizio dello scorso anno, la società Avatar Integrated Systems cinese riuscì ad accaparrarsi la chip-designer californiana ATop Tech. L’acquisto, spiega il sito americano, passò senza alcuna valutazione da parte del Comitato sugli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius, dall’inglese Committee on Foreign Investment in the United States), ovvero il comitato inter-agenzia del Governo federale che si occupa di analizzare le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri negli Usa.
E secondo la testata è un caso, tra tanti, da non sottovalutare, perché oggi, sottolinea l’analisi, la minaccia non proviene infatti solo dall’esportazione di armi o di tecnologie belliche, bensì di ogni strumento tecnologico che potrebbe mettere a rischio una qualsiasi infrastruttura critica, comprese le tecnologie per l’informazione.
IL RUOLO DEL CFIUS
Nato negli anni settanta, il Comitato per gli Investimenti Esteri fa capo al Dipartimento del Tesoro e riunisce i rappresentanti di tutte le principali agenzie di governo. Dopo l’11 settembre, il comitato ha assunto sempre maggiore importanza e, in quest’ottica, il Congresso ha approvato una legge che consentisse allo stesso di valutare gli effetti di accordi commerciali e investimenti sulla sicurezza nazionale. Negli ultimi dieci anni l’attenzione del Comitato si è molto concentrata sulla Cina, in particolare a causa dell’intensificarsi delle più volte denunciate attività di spionaggio industriale di Pechino contro le aziende americane.
MADE IN CHINA 2025
Gli esperti di sicurezza nazionale stanno mettendo in guardia il governo circa la pericolosità dell’incontrollato trasferimento di tecnologie attraverso gli investimenti della Cina. Nel 2015, ad esempio, Pechino aveva promosso la strategia “Made in China 2025” con l’obiettivo di collaborare con i privati al fine di acquistare società di tecnologia estere. Gli investimenti cinesi nelle startup tecnologiche, rileva la testata americana, sono passati da un valore di 2,3 miliardi di dollari nel 2014 a 9,9 miliardi nel 2015, più di quattro volte tanto. Negli anni passati il ridotto controllo verso gli investimenti cinesi nella tecnologia Usa hanno spinto la nuova amministrazione statunitense a imporre dazi e tasse mirate a punire le pratiche commerciali della Cina definite “sleali”.
IL DIBATTITO NEGLI USA
L’avvertimento proveniente dalla Silicon Valley (e dall’intelligence): una proposta bipartisan sta richiedendo di aumentare i poteri del Comitato permettendogli di valutare autonomamente (ovvero senza una richiesta specifica) il livello di erosione del vantaggio tecnologico americano a seguito di ogni investimento estero. L’amministrazione Trump ha approvato il disegno di legge a gennaio, mentre nella Casa Bianca le opinioni sembrano essere divise tra chi approva tale rafforzamento nella capacità di proteggere gli interessi nazionali e coloro che, invece, temono che tale cambiamento possa influenzare negativamente l’economia del Paese diminuendo drasticamente gli investimenti nella fiorente Silicon Valley.