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Come contrastare la minaccia terroristica. Le parole di Minniti, Morris, Galzerano e Manciulli

minniti strasburgo

La sconfitta dello Stato islamico sul campo di battaglia in Siria e Iraq, aumenta la componente asimmetrica della minaccia e dunque i rischi per i Paesi europei. In tutto questo, è logico pensare che la via più battuta dai foreign fighters di ritorno dalle zone di conflitto sia quella dei traffici di esseri umani, con una sovrapposizione preoccupante tra terrorismo e criminalità. Parola del ministro dell’Interno Marco Minniti, intervenuto ieri, a Roma, alla presentazione dell’ultimo numero della rivista Il Club, intitolato “La sicurezza dell’individuo”. Insieme a lui, moderati dal capo della redazione esteri de La Stampa Alberto Simoni, hanno partecipato all’evento l’ambasciatore del Regno Unito in Italia Jill Morris, il direttore de Il Club Francesco De Leo, il direttore del Servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo esterno Claudio Galzerano, il presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato Andrea Manciulli, e il direttore dell’International Security Studies Royal United Services Institute (Rusi) Raffaello Pantucci.

UNA MINACCIA COMPLESSA

Il primo tassello per una difesa efficace risiede nella consapevolezza della minaccia che si ha di fronte. E quella che l’Occidente sta affrontando “è la minaccia dell’Islamic State – ha chiarito Minniti – un’organizzazione terroristica senza precedenti al mondo, capace di tenere insieme due elementi che nessuna organizzazione terroristica è stata in grado di tenere insieme”. Primo, la capacità di portare avanti la doppia minaccia: asimmetrica, con “attacchi che provocano terrore e paura”; e simmetrica, “con campagne militari che gli hanno permesso di conquistare e gestire un territorio nella drammatica illusione di un terrorismo che vuole farsi Stato”. Secondo, ha aggiunto Minniti, “lo Stato islamico ha saputo usare lo strumento della comunicazione via web come un pesce nell’acqua”, ricorrendo a Internet per finalità di “reclutamento, istruzione, emulazione e radicalizzazione”. L’Isis ha dimostrato “tanta sapienza nell’usarlo che ora dispone di una rete di terroristi di cui lo stesso Stato islamico”.

FOREIGN FIGHTERS TRA I MIGRANTI?

A tutto questo si aggiungono i foreing fighters. Dei circa 25/30mila che sono giunti in Siria e Iraq, “molti sono morti, altri sono in prigione, ma molti stanno scappando verso rifugi sicuri, le proprie case o zone di particolare fragilità statuale”, ha detto Minniti spiegando che “è logico pensare che la via più battuta sia quella dei trafficanti di esseri umani”. Ciò, a detta del ministro, rende necessario “lavorare sul nord Africa, contrastando i traffici e impedendo la formazione di rifugi sicuri”. Bene dunque l’impegno europeo sul Sahel, nato dalla consapevolezza che il confine dell’Europa “corrisponde al confine meridionale della Libia”. Con questo approccio, ha ricordato Minniti “nei primi mesi quattro dell’anno gli arrivi di migranti sono diminuiti del 75%, mentre per quanto riguarda la Libia siamo a -82 %.; dal 1 luglio dello scorso anno al 30 aprile di quest’anno, sono arrivate 100mila persone in meno: un colpo drammatico ai trafficanti degli esseri umani”.

FINCHÈ BREXIT NON CI SEPARI

In questo sforzo comune non può mancare il Regno Unito, “un pezzo importante delle politiche di sicurezza europee”, ha detto Minniti. “Quando la Brexit sarà compiuta, l’Europa dovrà fare qualcosa per mantenere e preservare i rapporti di sicurezza tra Europa e Regno Unito, e con l’altra sponda dell’Atlantico; dobbiamo trovare dei canali speciali per la cooperazione su questi temi”, ha aggiunto il ministro dell’Interno. Difatti, “la sicurezza è un tema emblematico per dimostrare l’importanza di non permettere che Brexit ci separi”, ha confermato l’ambasciatore del Regno Unito in Italia Jill Morris. “La sicurezza e la difesa dell’Europa sono al cuore dell’approccio del Regno Unito; condividiamo gli stessi valori e non esiste Paese che possa affrontare da solo la minaccia alla sicurezza; la collaborazione è fondamentale, con gli alleati europei e con l’Italia, oltre a quella che si realizza a livello internazionale multilaterale”. Su questo non impatterà la Brexit, ha assicurato la diplomatica: “La nostra dedizione è incondizionata, nel senso che non è legata ai negoziati sui rapporti economici e commerciali del futuro. L’Europa – ha rimarcato la Morris – è il nostro continente; lasciamo l’Unione europea e non l’Europa; la vostra sicurezza è la nostra sicurezza”.

IL MODELLO BRITANNICO…

Cooperare è utile per confrontare tra loro i diversi modelli di antiterrorismo, individuando le best practice per il contrasto a un fenomeno in profonda evoluzione. “Oggi, la minaccia terroristica è molto diffusa, trascinata da un’ideologia ampia e sparsa, con attentati che vengono da posti che non siamo abituati a vedere”, ha spiegato il direttore dell’autorevole Rusi Raffaello Pantucci. “Prima era tutto più chiaro, con filiere definite che esistono ancora oggi, ma a cui si aggiunge un nuovo fenomeno: il terrorismo con mezzi più semplici, come coltelli”, ha aggiunto l’esperto. Così, “per i servizi è molto più difficile affrontare la minaccia perché non c’è una struttura”. Come contrastarla dunque? Con due elementi che sembrano caratterizzare il modello britannico di antiterrorismo. Primo, “il coinvolgimento di più enti nella lotta al terrorismo per seguire la diffusione della minaccia”, sebbene con l’attenzione “di mantenere il delicato equilibrio tra sicurezza dell’individuo e apertura della democrazia”, evitando il rischi di trasformare il Paese in “uno Stato poliziesco”. Secondo, ha detto ancora Pantucci, “con la spinta alla creazioni di nuove idee e nuovi concetti, tra cui l’attaccamento all’Inghilterra, per prevenire l’adesione di molti giovani alle idee della radicalizzazione”.

…E QUELLO ITALIANO

Se esiste un modello britannico di antiterrorismo britannico, non c’è dubbio che ve ne sia anche uno italiano. “C’è un modello italiano di prevenzione, che si fonda anche su esperienze ed errori del passato”, ha spiegato il direttore dell’antiterrorismo Claudio Galzerano. “La stagione del terrorismo e della criminalità organizzata ha forgiato intere generazioni di ufficiali e componenti delle forze di polizia”, permettendo di superare un modello “a camere stagne, senza dialogo”, e di giungere alla “mentalità e alla cultura della condivisione, una conquista faticosissima”. Così, ha rimarcato Galzerano, “oggi abbiamo strumento, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa) in cui si incontrano la cultura di intelligence e il law enforcement, l’analisi e l’intervento operativo, una congiuntura che si è potuta verificare e che altri Paesi non conoscono”. Da qui, nonostante la cooperazione operativa sia “la più difficile”, l’idea di esportare il modello italiano affinché diventi “un paradigma a livello europeo”, ha proposto Galzerano. L’obiettivo, ha spiegato il direttore, “è spingere tutti verso la stessa direzione, allineati e coperti dietro un’unica grande finalità: la prevenzione del terrorismo e la protezione delle nostre comunità”.

COSA FARE

Si è detto d’accordo Andrea Manciulli, che come presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, negli ultimi anni è stato promotore di un approccio cooperativo in materia di contrasto al terrorismo. “È importante che tutti coloro che operano nel campo della sicurezza e dell’Alleanza Atlantica capiscano i valori su cui si fondano”, ha detto Manciulli, relatore (insieme a Stefano Dambruoso) della legge per il contrasto preventivo alla radicalizzazione, arenatasi sul finire della legislatura. Lo sforzo normativo nazionale si inserisce difatti nella dimensione delle alleanze internazionali, a partire proprio dalla Nato. Di fronte a una minaccia nuova come quella incarnata dal Daesh, “anche l’Alleanza Atlantica ha dovuto dire che le armi non bastano, ma che bisogna unire piani e settori differenti”. L’esigenza è che “tutti i Paesi Nato si dotino del doppio registro nel contrasto al terrorismo: repressivo e preventivo”, ha affermato Manciulli. In tale sforzo, ha concluso, “l’Italia e il Regno Unito devono essere quelli che battono il chiodo a Bruxelles, affinché la Nato abbia uno standard preventivo sul tema del terrorismo”.

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