Oggi, festa della Repubblica, l’Italia celebra una rinnovata unità, presentandosi ai Fori Imperiali con il governo che ieri ha giurato nelle mani del Presidente Sergio Mattarella. Tutto sembra essersi ricomposto e assestato in funzione del bene della Res Publica. Il mondo della scuola ha atteso pazientemente il nuovo inquilino di Viale Trastevere, perché – prima tra le molteplici urgenze – occorre garantire il più naturale quanto tradito diritto della Costituzione: i genitori hanno il diritto e il dovere di educare e istruire i propri figli scegliendo fra una buona scuola pubblica statale e una buona scuola pubblica paritaria, oltre ogni discriminazione economica.
Il ministro dell’Istruzione è il prof. Marco Bussetti, docente, dirigente scolastico, provveditore agli studi di Milano. Chi scrive può attestare come nel corso della sua carriera abbia partecipato a svariati convegni a Milano, condividendo temi quali la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo, il diritto di apprendere senza discriminazione, la garanzia al diritto di apprendere degli allievi disabili, con il diritto al docente di sostegno in una buona scuola pubblica statale e pubblica paritaria.
Mentre va il sincero augurio al prof. Bussetti per un compito non semplice, ma quanto mai strategico di servizio alla nazione, è viva la fiducia che in un sano atteggiamento di collaborazione si possa risolvere la più annosa e vexata quaestio, da cui dipende il futuro dello Stato italiano. Senza qualità nel campo della cultura e della formazione del cittadino non c’è futuro.
La scuola italiana, dall’infanzia alle superiori, è frequentata da otto milioni 826mila 893 studenti, 1 milione 109.585 dei quali frequentano scuole non statali, cioè non gestite dallo Stato, ma che dallo Stato sono controllate e riconosciute come luoghi di istruzione in base alla legge 62 del 2000. Per garantire l’istruzione a tutti lo Stato ha stanziato nell’anno scolastico 2015-2016 49 miliardi e 418 milioni di euro per la scuola pubblica statale e 499 milioni di euro per quella pubblica paritaria. Proprio per quest’ultima, però, sono via via diminuiti gli stanziamenti: sono passati da 530 milioni nell’anno scolastico 2006-2007 a 499 milioni nell’anno scolastico 2015-2016. Significa che ogni studente delle scuole statali riceve in finanziamenti, solo dallo Stato centrale, 6403,52 euro per le sole spese correnti. La cifra aumenta di molto considerati i finanziamenti degli enti locali. Nella Francia laica e secolarizzata, secondo i dati Ocse del 2014, la differenza tra la spesa per uno studente delle scuole paritarie e uno che frequenta le scuole statali è di soli 3.824 euro, mentre in Italia è di 6.769 (a vantaggio delle scuole statali).
Gli scarsi finanziamenti, unitamente alla crisi economica delle famiglie, hanno provocato nel corso degli anni un calo delle iscrizioni alle scuole pubbliche paritarie, che sono passate dall’11,85 per cento nell’anno scolastico 2010-2011 al 10,64 per cento dell’anno 2015-2016. C’è un dato, però, che testimonia la fiducia che molte famiglie ripongono nelle scuole pubbliche non statali: la crescita degli studenti con bisogni particolari, come stranieri e disabili. I ragazzi disabili iscritti sono passati dagli 11.547 dell’anno scolastico 2010-11 ai 12.211 dell’anno scolastico 2014-15, mentre gli stranieri sono passati da 45.069 a 60.017. Come abbiamo visto il 93,8 per cento degli alunni, dalle scuole primarie a quelle di secondo grado, frequentano scuole pubbliche statali. Garantiscono qualità? No, dal momento che l’Italia è agli ultimi posti nella gran parte dei punteggi delle edizioni 2015 dei test Ocse che servono per verificare le competenze degli studenti nell’ambito scientifico. Siamo quartultimi nella capacità di lettura, siamo quintultimi in matematica. Siamo davanti solo alla Spagna, tra i grandi Paesi europei. Nella laicissima Francia lo Stato paga gli insegnanti delle scuole paritarie e le rate sono bassissime: il 32 per cento degli studenti frequenta scuole paritarie e nei test Ocse la Francia ci batte abbondantemente.
La soluzione è stata condivisa dal prof. Bussetti in molteplici occasioni fino ad oggi: un modo per sostenere economicamente l’educazione di tutti i ragazzi – anche di quelli che non frequentano la scuola statale – e allo stesso tempo far risparmiare risorse allo Stato c’è e consiste nell’applicazione del costo standard di sostenibilità per allievo, applicabile ugualmente a tutte le scuole pubbliche, paritarie e statali. Immaginando che in ogni classe ci siano 25 studenti si ottengono questi risultati: ad esempio nella scuola dell’infanzia ogni alunno costerebbe 4.570 euro, se in quella stessa classe ci fosse un alunno disabile la cifra salirebbe a 5.360 euro. Applicando questi costi standard a ogni alunno di ogni scuola pubblica paritaria o pubblica statale, questo costerebbe 5 mila 441 euro per un costo statale di 47,1 miliardi (cioè ben 2,8 miliardi in meno di oggi). È possibile perciò far risparmiare soldi allo Stato e garantire il diritto fondamentale all’istruzione senza discriminazioni economiche, restituendo alla famiglia la responsabilità educativa in una piena libertà di scelta; è possibile grazie a un pluralismo educativo in cui lo Stato garantisce pari risorse a tutte le scuole, con l’obiettivo di innalzare la qualità dell’istruzione italiana, portandola allo stesso livello degli altri Paesi europei.
Prendendo ad esempio Paesi con grande tradizione in materia di stato sociale, come quelli nordici, il sistema scolastico finlandese vede una stragrande maggioranza di istituti paritari (se non quasi la totalità) finanziati dallo Stato, a tutela delle esigenze educative del singolo bambino. Tutto ciò le è stato ben chiaro fino ad oggi, Dunque, se è stato applicato, per quanto in modo imperfetto, il sistema del costo standard per persona alla sanità, perché non è possibile con la scuola? Una via d’uscita possibile viene dalla ridiscussione del rapporto fra Stato ed Enti locali avviato dai due referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto.
In poche parole, i convegni e le conferenze a cui il neo ministro Bussetti ha partecipato e di cui ha condiviso i ragionamenti a favore della libertà di scelta, l’hanno certamente portato ad auspicare un criterio di razionalizzazione che tiene conto delle esigenze di ciascun istituto scolastico in rapporto alle persone e al territorio; è l’unica strada per una riforma del sistema scolastico compiuta e di successo, a vantaggio in primis degli studenti, ma anche degli insegnanti. Su tutto questo occorre riflettere e agire di conseguenza. Certezza assoluta che questa riflessione e questa azione ci saranno.