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Difesa europea. La fuga in avanti di Macron e i dubbi di Italia e Nato

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Migranti, Libia e difesa europea. Sono questi i temi che stanno scaldando i rapporti tra Roma e Parigi. E mentre ieri il vertice ristretto dell’Unione a cui ha preso parte il premier Giuseppe Conte ha certificato le distanze sulla questione migratoria, oggi il ministro dell’Interno Matteo Salvini vola a Tripoli per dare profondità alla strategia del governo. Parallelamente, i colleghi di Esteri e Difesa Enzo Moavero Milanesi ed Elisabetta Trenta partono alla volta del Lussemburgo per un Consiglio dell’Unione europea tutto dedicato alla difese comune. Intanto però, la Francia si appresta a lanciare una nuova iniziativa per creare un cabina ristretta di nove Paesi (incluso il Regno Unito) per la risposta rapida in scenari di crisi. Per ora, il ministro Trenta ha detto no; le perplessità sono molte, tra scarsa chiarezza, ben poca complementarietà con la Pesco e la Nato, e un progetto che sembra nascondere la tradizionale ambizione francese per l’autonomia strategica.

LA PROPOSTA FRANCESE

È il ministro della Difesa francese Florence Parly ad anticipare a Le Figaro la firma, oggi in Lussemburgo, di una lettera d’intenti per creare una forza di difesa europea a cui prenderà parte anche il Regno Unito. Se per Londra si tratta dell’opportunità di restare legata all’Europa della difesa anche nel dopo-Brexit, per Parigi il piano ben esemplifica il desiderio di autonomia strategica del Vecchio continente a traino francese. Oltre a loro, ci saranno altri sette Paesi: Germania, Belgio, Danimarca, Olanda, Estonia, Spagna e Portogallo. La nuova struttura prenderebbe il nome di “European Intervention Force”, e sarebbe stata pensata proprio dal presidente Emmanuel Macron come uno strumento a cui ricorrere per un dispiegamento rapido in caso di crisi. Secondo una fonte del ministero francese ripresa da AFP, l’iniziativa riguarda “la pianificazione congiunta su scenari di crisi che potrebbero minacciare la sicurezza europea”. Non solo uno strumento militare dunque, ma una cabina di regia multinazionale che si occuperebbe di gestire in modo condiviso anche situazioni emergenziali di carattere civile, come disastri naturali ed evacuazioni.

IL REGNO UNITO OLTRE LA BREXIT

“È chiaramente un’iniziativa che permette l’associazione di alcuni Stati che non sono membri dell’Unione”, ha detto il ministro francese. “Il Regno Unito – ha aggiunto la Parly – ha dimostrato grande interesse perché vuole preservare la cooperazione con l’Europa oltre i legami bilaterali”. Il negoziato sulla Brexit sembra difatti essersi arenato, con alcuni nodi sul fronte della sicurezza e difesa che preoccupano (non poco) Londra. Il dossier sulla partecipazione a Galileo, il sistema europeo di navigazione satellitare, continua a far discutere, mentre la possibilità che le imprese britanniche possano accedere ai finanziamenti del nascente Fondo per la difesa europea (Edf, che dovrebbe dotarsi di 13 miliardi per il 2021-2027) pare ad oggi esclusa. Da qui, l’interesse inglese per la proposta francese, che per l’Italia lascia invece più di qualche punto interrogativo.

LO SCETTICISMO ITALIANO…

Secondo la Parly, l’Italia avrebbe inizialmente mostrato interesse per la proposta, poi tralasciata dal nuovo governo che “sta considerando la possibilità di aderire”. La verità è che la proposta francese non può non generare un certo scetticismo, che la stessa Elisabetta Trenta pare aver espresso alla collega Florence Parly durante l’incontro che hanno avuto a Bruxelles, in occasione della recente ministeriale Difesa della Nato. La perplessità riguarda diversi aspetti, a partire dalla scarsa chiarezza di un progetto che non sembra essere complementare né alla cooperazione strutturata permanente (Pesco) a cui hanno già aderito 25 Paesi (e che attende dal Consiglio dell’Ue di oggi la definizione delle regole di governance) né all’Alleanza Atlantica, che tanto sta lavorando affinché la difesa comune non produca inutili e dannose duplicazioni. Basti pensare che il vertice dei capi di Stato e di governo della Nato, in programma a Bruxelles l’11 e 12 luglio, dovrebbe ufficializzare il lancio della “Readiness initiative”, il progetto promosso dagli Usa che è anche conosciuto con l’espressione di “Four thirties”: avere a disposizione, entro il 2020, 30 battaglioni meccanizzati, 30 squadroni aerei e 30 navi da guerra in grado di essere operativi in 30 giorni. Tra le Repubbliche baltiche e la Polonia sono inoltre già attivi i quattro battlegroup multinazionali della Nato pensati anch’essi come forza di prontezza, oltre che di deterrenza. Una forza di intervento rapido sembra, in altre parole, non necessaria.

…E QUELLO DELLA NATO

E così, proprio nell’ambito dell’Alleanza Atlantica emerge lo stesso scetticismo dell’Italia nei confronti della nuova proposta francese, tanto che la Germania potrebbe addirittura sfilarsi da un’iniziativa che per ora è in fase di mero annuncio. Già le varie iniziative della difesa europea, dalla Pesco all’Edf, avevano generato alcune perplessità da parte della Nato, per le quali si è reso necessario l’abile lavoro dell’Alto rappresentante Federica Mogherini. L’ex numero uno della Farnesina ha fatto della cooperazione tra le due organizzazioni un pilastro del progetto continentale, tranquillizzando i Paesi membri più scettici (soprattutto quelli dell’est) e cercando di limitare i dubbi di Washington, che ancora sta cercando di capire se la difesa europea sia una buona notizia o meno. Ora, la proposta di Parigi potrebbe certamente apparire indigesta, soprattutto perché non accompagnata dalle necessarie rassicurazioni.

I PIANI DI PARIGI

L’impressione è che la nuova iniziativa risponda soprattutto agli interessi francesi, per lo più diretti alla tanto sbandierata “autonomia strategica” dell’Ue e soprattutto alla possibilità che sia proprio la Francia a guidare e orientare il Vecchio continente. Sulla Pesco, l’intenzione di Parigi di creare un gruppo esclusivo di pochi Paesi era stata superata dalla volontà tedesca, ben supportata da Italia e Spagna, di prediligere un approccio inclusivo. Il risultato è stata l’adesione di ben 25 Paesi ai primi 17 progetti della Pesco, un numero che forse rallenta il processo decisionale ma che preserva l’unità europea, già abbondantemente messa alla prova su altri dossier.


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