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Le ultime novità della difesa europea. La prossima sfida sul tavolo della ministra Trenta

La difesa europea non aspetta nessuno, e anzi accelera per lo sviluppo di capacità comuni. È attesa per questa settimana la proposta di regolamento della Commissione sulla fase post-2020, che riguarda in particolare il Fondo europeo per la Difesa (Edf), per un valore di 13 miliardi di euro dal 2021 al 2027. Le regole proposte da Bruxelles saranno presumibilmente le stesse che sono state definite nei negoziati inter-istituzionali per la fase embrionale del Fondo (in particolare il Programma per lo sviluppo dell’industria della difesa, Edidp) che però ancora attende il via libera dell’Europarlamento. Un punto in particolare resta caldo e richiede che l’Italia faccia sentire la sua voce: la possibilità che accedano ai finanziamenti anche le aziende dei Paesi membri che hanno però un controllo esterno all’Ue. A questo punto, con l’accelerazione della Commissione sulla fase post-2020, restare fuori dalla fase istitutiva e legislativa vorrebbe dire trovarsi a giocare una partita da 13 miliardi di euro con regole svantaggiose e arbitri scelti dagli avversari. Eppure, sul tema “difesa europea”, nessun indicazione è arrivata dal nuovo esecutivo.

LA NUOVA PROPOSTA DI REGOLAMENTO

Dovrebbe essere presentata questa settimana la proposta di regolamento della Commissione sulle nuove iniziative del Fondo europeo per la Difesa (Edf), uno strumento per cui l’organo esecutivo dell’Ue ha previsto di destinare ben 13 miliardi di euro nel nuovo Quadro finanziario pluriennale (Mff) 2021-2027. L’iter sarà lungo, con l’intervento del Consiglio, poi del Parlamento, e poi la fase di trialogo (la negoziazione tra le tre istituzioni dell’Ue) prima del voto del Parlamento e l’adozione del Consiglio. Come noto, il Fondo si divide in due finestre: una dedicata alla ricerca (4,1 miliardi) e una allo sviluppo di capacità (8,9 miliardi). Attualmente, tutto questo è alla fase embrionale. Per la prima finestra, ha già preso il via la Preparatory action per la ricerca (Padr) con 90 milioni per tre anni (2017-2019), 35 dei quali aggiudicati dal progetto Ocean 2020 guidato da Leonardo, il campione italiano dell’aerospazio e difesa. Leggermente indietro la finestra delle capabiliy, con il Programma per lo sviluppo dell’industria della difesa (Edidp) che, superata la fase di negoziazione tra le tre maggiori istituzioni dell’Ue, per una dotazione per il biennio 2019-2020 di 500 milioni, attende il voto del Parlamento di Strasburgo entro l’estate. La scorsa settimana, sull’Edidp è arrivata la conferma del testo di compromesso finale del Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper), che si specifica “in vista di un accordo”.

LA QUESTIONE DEL CONTROLLO EFFETTIVO

Considerando che tali iniziative sono dei test per la Commissione e per gli Stati, stupisce l’accelerazione sulla fase due, per cui le risorse, come detto, saranno probabilmente ingenti. A destare particolare preoccupazione è soprattutto quanto si prevederà per la parte capability. Nella proposta di regolamento, infatti, la Commissione farà presumibilmente confluire le regole negoziate per l’Edidp, che tuttavia non hanno ancora terminato l’iter legislativo, né sono entrate in operatività per verificare la loro efficacia. Tra queste, ci sono i criteri per selezionare i soggetti ammissibili, cioè le aziende che possono beneficiare dei finanziamenti del Fondo. La proposta iniziale della Commissione sull’Edidp (di giugno 2017) prevedeva inizialmente che i beneficiari potessero essere solo “imprese stabilite nell’Unione”, su cui gli Stati membri o i loro cittadini detengono “un controllo effettivo”. Ciò tuttavia avrebbe escluso dalla partita industrie controllate da soggetti esterni all’Ue, che però hanno attività in Europa e che, integrate nelle catene di fornitura, da sempre fanno importanti investimenti in alcuni Paesi membri. Per l’Italia sono due gli esempi emblematici: Avio Aero, business della statunitense Ge Aviation che conta nell’Ue circa 12mila dipendenti (4.200 dei quali proprio nel nostro Paese); e Piaggio Aerospace, l’azienda italiana di Villanova d’Albenga controllata dal fondo emiratino Mubadala, che impiega oltre 1.200 persone.

SOGGETTI AMMISSIBILI E CONSORZI

Con il passaggio al Consiglio, al Parlamento e poi al trialogo, si è corretto il tiro. La versione su cui è chiamato ad esprimersi l’Europarlamento “dovrebbe prevedere – spiega sull’ultimo numero di Airpress Paola Sartori, research fellow dell’Istituto affari internazionali – che le aziende basate in Unione europea e controllate da società di un Paese terzo o da un Paese terzo possano beneficiarie dei fondi, a patto che lo Stato in cui sono basate fornisca le necessarie garanzie alla Commissione, soprattutto per quanto riguarda: struttura della governance, indipendenza da interferenze del Paese terzo e tutela delle informazioni sensibili”. Si tratta di una versione particolarmente restrittiva, ma che comunque non escluderebbe le aziende controllate da Paesi terzi, come invece ha allarmato ieri El Paìs.

Questo approccio dovrebbe comunque confluire nella proposta di regolamento che la Commissione si appresta a presentare questa settimana, così come per la questione relativa alla composizione dei consorzi: “dovranno essere composti da almeno tre aziende, basate in almeno tre diversi Stati membri, cercando di superare la semplice collaborazione bilaterale fino a ora realizzata”, ha rimarcato Sartori. Si precisa inoltre, ha aggiunto la ricercatrice, che “almeno due di questi soggetti non devono essere controllati, direttamente o indirettamente, dalla stessa entità, né tra loro al fine di non penalizzare i gruppi industriali europei che si sono costituiti in questi ultimi venti anni”. Se per i soggetti ammissibili l’Italia continua a preferire un approccio meno stringente sulle entità extra-Ue, per la formazione dei consorzi la versione piace al nostro Paese, poiché permette di schivare l’ipotesi di un “asse franco-tedesco piglia tutto”, paventata dal generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa.

I PUNTI APERTI

Restano tuttavia alcuni punti aperti sull’Edidp, su cui forse arriveranno indicazioni dalla Commissione nella proposta per il post-2020. I nodi da sciogliere, ha ricordato Sartori, sono “quello della limitazione dell’obbligo di notifica alla Commissione dell’eventuale cessione di licenze a favore di Paesi terzi al termine del progetto (limitandolo al caso di cessione definitiva) e quello del ricorso a subfornitori nel caso si debbano rilasciare informazioni sensibili (limitandolo a quelle altamente sensibili)”. Ad ogni modo, sull’Edidp, aggiunge l’esperta, “l’idea è quella di procedere rapidamente verso il consolidamento del testo, in modo da arrivare all’adozione del programma da parte del Consiglio entro l’estate, e poter così lanciare i nuovi programmi di sviluppo nei primi mesi del 2019”.

UN DOPPIO OBIETTIVO

Eppure, è bene ricordare che tanto per l’Edidp pre-2021, quanto per i 13 miliardi del Fondo 2021-2027, gli strumenti finanziari che arriveranno dalla Commissione sono pensati a supporto degli investimenti dei singoli Stati membri e non alternativi ad essi. Tant’è vero che gli 8,9 miliardi previsti dalla Commissione per le cabability nell’Mff, sono giustificati in “co-finanziamento di programmi di sviluppo collaborativo di capacità”. Ciò rende necessario per l’Italia (così come per ogni altro Stato membro) affrontare l’argomento da un duplice punto di vista. Prima di tutto, pare necessario affrontare la fase istitutiva e legislativa con un ruolo pro-attivo, al fine di non trovarsi a giocare la partita delle risorse più cospicue con regole svantaggiose per il sistema-Paese. In secondo luogo, servono maggiori investimenti a livello nazionale, così che siano maggiormente competitivi nel contesto continentale. Solo i Paesi che saranno disposti a metterci i soldi potranno accedere ai finanziamenti. In altre parole, ha concluso Sartori, “tocca agli Stati membri dimostrare di essere in grado di sfruttare al meglio queste opportunità”.

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