Firmato l’accordo con la Grecia sul cambio del nome, la nuova “Macedonia del Nord” si prepara a riprende il discorso sull’adesione alla Nato e all’Unione europea. In attesa del referendum di ottobre e della più complessa revisione costituzionale, Skopje sembra vicina a porre fine a un’attesa di oltre vent’anni, superando anche le pressioni (neanche troppo velate) di Mosca. La ragione di questa lunga ambizione? La convinzione che le due organizzazioni siano una “scuola di democrazia”. Parola di Stevo Pendarovski, professore e politico macedone, candidato dell’Unione socialdemocratica alle presidenziali del 2014 (vinte dall’esponente del centro-destra Gjorge Ivanov, attuale presidente) e coordinatore nazionale per la membership nella Nato, che abbiamo incontrato a margine dell’evento che la Nato Defense College Foundation, insieme al Balkan Trust for Democracy e alla delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, ha organizzato a Roma la scorsa settimana.
Le aspirazioni macedoni per l’ingresso nell’Alleanza Atlantica risalgono agli anni immediatamente successivi alla dissoluzione della Jugoslavia. Già nel 1995, il Paese balcanico siglava con la Nato la “Partnership per la pace”, seguita quattro anni dopo dal “Membership action plan”. Sulle ambizioni di Skopje ha però pesato enormemente la disputa con la Grecia sul nome dell’ex repubblica jugoslava. Per Atene, identificare il Paese confinante con il termine “Macedonia” ha sempre celato una storica rivendicazione sulla sua omonima regione. Così, nel Summit Nato di Bucarest del 2008, il governo greco ha bloccato l’adesione della Macedonia.
Professore, trovato l’accordo sulla disputa del nome, quali sono i prossimi passi verso l’ingresso della Macedonia nella Nato?
Abbiamo appena chiuso una disputa storica e lunghissima tra Macedonia e Grecia. I negoziatori hanno raggiunto l’intesa alcuni giorni fa, e poi (è arrivata) la firma sull’accordo bilaterale tra i due Paesi questo fine settimana. I passi immediatamente successivi riguarderanno la ratifica dell’accordo da parte del Parlamento macedone, per la quale è richiesta la maggioranza semplice, numeri di cui dispone l’attuale coalizione a supporto dell’accordo. Una volta avvenuta la ratifica, toccherà alla Grecia inviare una lettera alla Nato, in cui affermerà che l’Alleanza può mandare un invito al nostro Paese per l’adesione. Per quanto riguarda l’Unione europea, Atene dirà semplicemente che non ha nulla in contrario all’avvio di negoziati per l’accesso della Macedonia. Per questo, però, servirà poi una decisione unanime da parte degli Stati membri, presa attraverso la formula del consensus e non dipendente da noi. In altre parole, quando ratificheremo l’accordo sul cambio di nome e approveremo gli altri elementi che ciò comporta, la Grecia darà la sua luce verde per l’apertura dei negoziati, anche se, sull’Ue, ci potrebbe essere in realtà l’opposizione di altri Paesi.
A chi si riferisce?
In tempi recenti, soprattutto da Francia e Olanda si sono levate voci per cui ogni negoziato per un nuovo accesso si dovrebbe avviare solo dopo che sarà completato il cosiddetto piano per “Approfondire l’Unione economica e monetaria”. Specialmente il presidente francese, Emmanuel Macron, ha affermato che l’Ue non sarà pronta ad accettare nuovi membri prima di aver completato la riforma dell’Eurozona. Il riferimento in tal senso riguarda soprattutto Albania e Macedonia. Se per Tirana ci sono una serie di elementi da prendere in considerazione, per noi l’unico ostacolo riguardava finora la disputa sul nome con la Grecia. Così, quando Atene manderà a Bruxelles le due lettere rivolte ad entrambe le organizzazioni, riceveremo l’invito dalla Nato e potremmo avviare i negoziati con l’Ue, a condizione che Francia e Olanda non li blocchino per le suddette ragioni.
La storia dell’ambizione macedone per l’ingresso nella Nato è molto lunga.
Sì. Sfortunatamente siamo il Paese che detiene il record di attesa per aderire alla Nato. Se per l’Ue tale primato appartiene alle Turchia, con decenni passati nella sala d’attesa, per l’Alleanza Atlantica è la Macedonia ad aspettare la membership da più tempo, sin dai primi anni 90. Siamo diventati un Paese candidato nel 1999 con il Summit di Washington. Siamo stati i primi a firmare il Membership action plan (Map) inventato proprio quell’anno e, da allora, restiamo in attesa dell’adesione. Dieci anni fa (durante il Summit di Bucarest, ndr), l’accesso è stato bloccato dalla Grecia, con l’unico elemento di ostacolo rappresentato dalla disputa sul nome.
Ma perché il Paese conserva lo storico desiderio di prendere parte all’Alleanza Atlantica?
Il nostro Parlamento ha preso tale decisione molto presto, nel 1993, subito dopo l’indipendenza. Siamo un Paese piccolo, a lungo circondato dalle guerre che hanno attraversato i Balcani. Condividiamo il nostro confine con il Kosovo, nel quale la Nato ha inviato la propria missione nel 1999. Da lì, abbiamo ospitato 360mila rifugiati, oltre agli 86mila della guerra in Bosnia. Sul fronte interno abbiamo una società multi-etnica, con il 25% della popolazione albanese. Questa non vuole vivere isolata rispetto ai fratelli del Kosovo e dell’Albania, e ciò rappresenta una spinta interna che è importante tenere in considerazione. Poi, tra le molte ragioni per cui contempliamo da tempo l’accesso all’Ue e alla Nato, c’è la convinzione, condivisa da tutte le forze politiche, che queste due organizzazioni siano delle scuole di democrazia.
Ci spieghi meglio.
Il processo di adesione può aiutare un Paese a organizzare la propria società, ad avere una burocrazia alla francese, un sistema giudiziario indipendente come quello tedesco o media indipendenti come negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Abbiamo bisogno di tutto questo perché, prima del 1991, la Macedonia non è mai stata una democrazia. Per 45 anni abbiamo fatto parte della Repubblica federale di Jugoslavia, che non era uno Stato democratico. Non avevamo un sistema multi-partitico, né mezzi di comunicazione indipendenti. In tal senso, tutti sanno che non c’è Paese che possa accedere a Nato e Unione europea senza essere una democrazia in salute.
L’accordo con la Grecia dovrà essere sottoposto a referendum?
Alcuni dicono di no, altri di sì. Il governo ha optato per la seconda opzione poiché si tratta di un argomento molto rilevante. Non è qualcosa di ordinario o di consueto; non si cambia nome a uno Stato ogni giorno. È importante dunque che su questo si esprima il popolo, che lo farà probabilmente in ottobre.
Quale è la sua aspettativa sull’esito del referendum?
Secondo l’opinione generale, il cambiamento del nome passerà il referendum. Avremo oltre il 50% più uno dei voti. Tuttavia, l’ostacolo più grande è rappresentato dalla necessaria modifica della Costituzione, poiché richiede una maggioranza dei due terzi in Parlamento, e l’attuale coalizione di governo non ha questi numeri. La speranza è che la popolazione e gli esponenti dell’opposizione capiranno l’importanza del momento e dell’integrazione nella Nato e nell’Ue, appoggiando la maggioranza su tale questione.
La Russia ha più volte mostrato insoddisfazione per la vocazione euro-atlantica della Macedonia. Questo ha pesato sul dibattito interno?
L’attitudine russa riguardo l’allargamento della Nato è naturalmente ostile. Ciò è evidente da centinaia di comunicati stampa e dichiarazioni provenienti dal ministero degli Esteri di Mosca. In uno degli ultimi si afferma che l’ingresso della Macedonia nella Nato potrebbero rendere il Paese, in futuro, un legittimo obiettivo nel caso di scontro tra la Russia e l’Alleanza. Rispetto a questo, tuttavia, ci sono molte più ragioni per aderire alla Nato, in primis l’esigenza di non restare in un vacuum di sicurezza. Siamo circondati da Paesi che fanno già parte dell’Alleanza, e la nostra membership non farebbe che realizzare il progetto strategico della Nato sul suo fianco sud. D’altra parte, non possiamo proclamare la nostra neutralità come la Svizzera, poiché nessun Paese confinante potrebbe assicurare tale posizione. Queste ragioni, esterne e interne, sono molto più forti di quelle che avanza la Russia per non farci partecipare, e ciò è condiviso da tutti i partiti politici e dall’opinione pubblica.