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La ministra Trenta e i mercenari. Una polemica sbagliata secondo Tricarico

difesa

Dopo mesi di oblio e di fronte “a un complesso di norme da rivedere con urgenza”, il tema dei contractor è tornato prepotentemente sotto i riflettori negli ultimi giorni. Al centro della lente mediatica c’è il nuovo ministro della Difesa Elisabetta Trenta, rea, secondo alcuni quotidiani, di aver guidato un progetto in Libia che prevedeva “il reclutamento di mercenari”. A prescindere dalle accuse, la lettura sembra indicativa “dell’anomalia italiana”: un’arretratezza culturale e normativa sul ruolo dei contractor privati, operatori di sicurezza ampiamente impiegati nei teatri di crisi e spesso indispensabili per la protezione di aree sensibili e strategiche. Ne abbiamo parlato con il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica.

LA POLEMICA

Al centro della questione c’è il ruolo della Trenta come manager dell’organizzazione no profit SudgestAid, impegnata in progetti di cooperazione internazionale e appartenente all’universo della Link Campus University. Quello che è stato presentato come “reclutamento di mercenari”, è spiegato nel curriculum del nuovo ministro: “Coordinamento e gestione del progetto Programma per la riduzione degli armamenti illegali in un quadro di consenso, cooperazione e sviluppo”, partito nel 2012 e poi sospeso, finanziato dal ministero degli Esteri per oltre 523mila euro. Affidato al contractor Gianpiero Spinelli, il programma si è poi convertito in un “progetto per il reintegro di ex combattenti come agenti di sicurezza per le aree archeologiche di Cirene, Sabratha e Leptis Magna”. Questo è bastato per far cogliere la palla al balzo da chi non vedeva l’ora di trovare scheletri nell’armadio dei nuovi ministri.

NON CHIAMATELI MERCENARI

Una questione di lana caprina? “Sicuramente è sbagliato chiamarli mercenari; oggi, infatti, i rischi di impresa all’estero non possono essere affrontati se non assicurandosi una concreta assistenza da parte di addetti alla sicurezza”, ha spiegato Tricarico. Questo “era vero ieri, ma ancora di più oggi – ha aggiunto – sia perché i teatri di guerra si sono incarogniti, sia perché la giustizia sembra essersi risvegliata nell’interpretare in maniera rigorosa i dettami della legge 231 (relativa alla responsabilità amministrativa di persone, società e associazioni, ndr) che, sinteticamente, sanziona il datore di lavoro che, mandando personale ad operare all’estero, non si cura di far salva la sua incolumità”. Così, “la maggiore effervescenza delle aree di possibile interesse economico, e una legge più attenta ai contravventori, ha potenziato la richiesta e il business per le cosiddette private military security company”.

L’ANOMALIA ITALIANA

Sul tema l’Italia appare piuttosto indietro. “Non siamo attrezzati come Paese a fornire questo servizio per un complesso di norme a cui andrebbe messo mano subito”, ha detto il generale. Ricorrere a società estere “è un male per diversi motivi”, ha rimarcato. “Il primo riguarda la sicurezza nazionale: è automatico che chi assiste un operatore economico all’estero rifornisca immediatamente ai propri servizi e al proprio Paese sulla materia del business”. Per fare un esempio, ha affermato Tricarico, “se dirigenti dell’Eni andassero in Egitto per avere incontri su un giacimento di gas da esplorare, e qualora la scorta fosse inglese, i servizi britannici lo verrebbero a sapere con immediatezza”. Si tratta di “un intelligence di carattere economico che si dirige verso luoghi in cui non dovrebbe andare”.

BUSINESS E OPPORTUNITÀ DI LAVORO

Il secondo motivo per cui andrebbe risolta “l’anomali italiana” sono “i soldi che vanno via, per un mercato che, come detto, è in rapida espansione”. Terzo, infine, la possibilità di aprire nuove opportunità di lavoro agli ex militari: “L’Italia – ha detto il generale – avrebbe da destinare a questa capacità delle forze significativamente efficienti e professionali; tutti i militari arruolati, dispiegati all’estero in missioni internazionali e poi non trattenuti in servizio, verrebbero re-inseriti in questo mercato”. Ciò darebbe una “prospettiva di lavoro a militari che hanno già una notevole capacità, ma che non vengono confermati in servizio, considerando che ogni quattro giovani che vengono chiamati al servizio militare temporaneo, tre vengono congedati; significa che il 75% rimane senza lavoro”.

NIENTE DI SCANDALOSO

Così, anche in caso di contractor assoldati per la protezione di siti archeologici o per il recupero di ex combattenti, “non vedo cosa ci sia di scandaloso, qualora ciò sia avvenuto nel rispetto della legge”. Occorre, infatti, “partire dal concetto che si tratta di un lavoro lecito e spesso indispensabile; nulla di cui vergognarsi”. C’è invece un problema di contraddizione tra la gestione di un progetto che impiegava contractor e la guida del dicastero difesa? “No, non vedo come si possa collegare l’incarico assunto con l’interesse di security delle compagnie; non vedo contraddizione”. Comunque, ha specificato il generale con riferimento a una vecchia inchiesta di Repubblica, sempre relativa ai contractor, sulla Link Campus University , “come Fondazione Icsa non abbiamo finanziato alcun gruppo facente riferimento alla Link Campus né abbiamo stipulato accordi con l’università”.

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