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Contro le fake news sulle pensioni d’oro. Il parere di Biasioli e Stevanato

Di Lorenzo Stevanato e Stefano Biasioli
di maio

Nel contratto tra M5S e Lega si accenna ai tagli sui vitalizi e sulle pensioni d’oro. Obiettivo: dare un sussidio alle pensioni “minime”.

Onestamente noi pensavamo che, prima di passare dalle enunciazioni ai fatti, Di Maio e C. si documentassero sui “numeri reali” relativi all’assistenza ed alla previdenza. Le affermazioni di questi giorni ci dimostrano, invece, che i 5S non si sono documentati e non hanno assolutamente letto il Rapporto Brambilla n°4/2017 che, in modo analitico e stringente, testimonia alcuni fatti incontrovertibili:

a) il bilancio (entrate-uscite) della “previdenza pura” (ossia coperta da contributi) relativo al 2015 è in attivo (+3,713 miliardi);

b) il bilancio della “spesa assistenziale” (ossia quella non coperta da contributi individuali) è nettamente in passivo ed è quantificabile in 72,172 miliardi.

In altri termini il 58,89% della spesa per il welfare è legato all’assistenza, funzione che andrebbe coperta con le tasse e non con contributi obbligati a carico dei soliti noti: i pensionati con redditi superiori a 3 volte il minimo Inps.

L’ATTACCO ALLE PENSIONI D’ORO

Il leitmotiv del ministro del lavoro, nonché vicepremier e leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio continua ad essere il taglio delle pensioni d’oro.

Sembra che l’attuazione di tale misura costituisca la sostanza delle politiche economiche del Governo, e in particolare l’elargizione del “reddito di cittadinanza” e l’aumento delle pensioni minime. Con la sforbiciata delle pensioni “sopra soglia 4000-5000/mese” si ricaverebbe (secondo un recente annuncio postato sul blog del movimento 5S) un risparmio di spesa pubblica pari ad un miliardo di euro. Già questo dato, se fosse vero (ma non lo è) ci fa capire la scarsa utilità del taglio.

Per avere un termine di paragone sull’ordine di grandezza e di utilità della misura, basti pensare che l’influenza dell’aumento dello spread BTP BUND, relativamente al rinnovo dello stock di titoli del debito pubblico italiano in scadenza, nel caso di un aumento di 100 punti base (è ciò che sta avvenendo adesso) vale 1,8 miliardi nel primo anno, 4,5 nel secondo e 6,6 nel terzo (fonte: ufficio parlamentare di bilancio, nota n. 3/ottobre 2017, “Il modello UPB di analisi e previsione della spesa per interessi”).

In altri termini, lo sbandierato (ma irrealistico) risparmio di un miliardo sta già per essere, più che interamente, assorbito dall’aumento dello spread, a seguito delle note rivelazioni di stampa sull’improvvida prima bozza del contratto di governo. Il dato sul risparmio di un miliardo, però, come già detto non è realistico.

Invero, più meditate e realistiche previsioni di risparmio di spesa (fonte Soc. Tabula, fondata dall’ex dirigente dell’INPS ed ex consulente di palazzo Chigi, Stefano Patriarca) indicano in circa 200 milioni il risparmio realizzabile, tenendo conto:

a) che i pensionati sopra soglia 5000 sono soltanto, circa, 30mila;
b) che essi ricevono complessivamente 4 miliardi;
c) che la differenza tra pensioni calcolate con sistema retributivo e contributivo consisterebbe, per loro, mediamente in un 5 per cento.

Cosicché il risparmio si ridurrebbe a circa 200mila euro.

Da questa cifra si dovrà poi sottrarre il minore introito fiscale sui ridotti assegni pensionistici.

Da notare che, in campagna elettorale, lo stesso Di Maio aveva stimato un risparmio di ben 12 miliardi!

Da notare anche che nel “contratto di governo” le “pensioni d’oro” da tagliare erano quelle superiori a 5mila euro netti, mentre nel recente blog e nelle ultime dichiarazioni Di Maio parla di “4000-5000” euro netti.

Dunque, la soglia è scesa a 4mila euro netti. Evidentemente si sono resi conto che la soglia 5mila non dà affatto il risparmio di spesa sbandierato.

Dunque soglia 4000, per il momento, e poiché nemmeno questa sarà sufficiente a recuperare le risorse occorrenti ai grandiosi progetti del M5S, si scenderà ancora, magari non subito, ma in seguito, a 3000 e poi a 2000, coinvolgendo milioni di pensionati.

In disparte l’enormità della misura, in violazione dei più elementari principi di uno Stato di diritto (tutela dell’affidamento, incisione retroattiva su diritti quesiti e su rapporti giuridici esauriti, disparità di trattamento tra categorie omogenee, prelievo fiscale mascherato a carico solo di alcuni cittadini, ingiustizia manifesta perché le pensioni sono, per definizione, giustificate dai contributi versati nella misura stabilita dalla legge) essa non resiste a più meditate analisi sulla sua praticabilità e sulla sua utilità.

Pur se non è stato ancora detto quale sarà il criterio del taglio, è facile immaginare che si vorrà convertire le pensioni “sopra soglia” al sistema contributivo introdotto dalla legge 335 del 1995 (cd. Riforma Dini”) e confermato dalla cd. “Legge Fornero”.

Sulla praticabilità, però, basti dire che il ricalcolo contributivo necessita di conoscere un dato, il montante contributivo complessivo delle “vite lavorative” di ciascun pensionato “retributivo”. Senonché, il montante contributivo chi lo conosce?

Si tratta di un dato ignoto all’amministrazione della previdenza, poiché non serve ai fini del calcolo delle pensioni retributive.

Tanto è vero che il d. lgs. 180/1997 ha introdotto un metodo di calcolo forfettario, ai fini dell’esercizio dell’opzione volontaria di scelta del metodo contributivo, introdotta dall’art. 1, comma 23, della legge 335/1995.

Non serve, infatti, conoscere il montante contributivo per il calcolo della quota A (ultima retribuzione moltiplicata per coefficienti di rendimento crescenti, in rapportati all’anzianità contributiva, fino al 1992), né per il calcolo della quota B (media di 10 annualità di retribuzione, moltiplicata per coefficienti di rendimento, dal 1993 al 2011).

Esso è noto e serve soltanto per il calcolo della quota C, cioè per il periodo dal 2012 in poi, per il quale la pensione è “costruita” con il metodo contributivo. Peraltro, si è osservato che per carriere lunghe e continue la conversione al sistema contributivo potrebbe addirittura dar luogo ad assegni pensionistici più elevati! Il risparmio di spesa sarà dunque incerto e scarso.

Per converso, si alimenterà un contenzioso di grandi numeri e dall’esito scontato.

IN CONCLUSIONE

Questa volta la Consulta non potrà non tener conto del fatto che, dal 2008 ad oggi, i pensionati ( e solo loro!) sono stati tartassati con contributi forzosi di solidarietà e con la pluriennale mancata rivalutazione sulle pensioni in essere.

Per non parlare del problema “tasse”. Di Maio e C. sanno o non sanno che l’85% di Irpef/Ires/Isos è pagata dai lavoratori dipendenti (99 miliardi), dai pensionati (58,58 miliardi) e dai lavoratori autonomi (9,63 miliardi)?

Sanno che ben 30 milioni di cittadini (su 60,7 milioni) dichiarano di essere senza reddito e, quindi, sono a carico di qualcun altro? Sono, questi, numeri da “Paese europeo” o c’è dell’altro?


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