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Sui dazi siamo al Trump contro Trump. Ma l’Italia? L’analisi di Pennisi

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Nelle ultime due settimane, le complesse vicende di politica interna hanno distratto gli osservatori della politica economica internazionale da quanto sta avvenendo sul fronte del commercio, un “dossier” su cui dovranno collaborare strettamente tre ministeri: quello dello Sviluppo Economico, quello degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e quello dell’Economia e delle Finanze. Attenzione, ai sensi del Trattato di Roma, la potestà negoziale è della Commissione europea, nell’ambito delle direttive e del mandato conferitole dagli Stati membri. Pochi giorni fa, su questa testata, Massimo Balducci del Cesare Alfieri di Firenze, grande esperto dei meccanismi comunitari, ci ha ricordato come nelle posizioni e decisioni delle istituzione europee l’Italia si presenta spesso in modo sbrindellato quando il tema riguarda un unico ministero. Figuriamoci quando riguarda tre ed all’indomani di un cambio profondo di Governo!

Le corrispondenze degli ultimi giorni sono state molto dettagliate sulle addizionali alla tariffa doganale degli Stati Uniti imposte dall’Amministrazione Trump nei confronti dei prodotti siderurgici e metallurgici importati negli Usa dall’Unione europea e dal Canada e dall’indagine aperta del Dipartimento del Commercio americano sui danni “alla sicurezza nazionale” che potrebbero essere arrecati dall’import di auto. L’Unione europea ha minacciato ritorsioni e fatto ricorso alla funzione giurisdizionale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc).

Queste misure vanno valutate con cura sia per quanto riguarda gli effetti sull’Italia sia per quanto attiene alle contraddizioni della politica commerciale americana. In primo luogo, per il nostro Paese un freno all’export, a ragione di dazi Usa o di rallentamento dell’interscambio mondiale a causa di una guerra commerciale o altro, avrebbe conseguenze pesanti. Per quanto riguarda i principali settori merceologici , occorre distinguere tra quelli che verrebbero colpiti direttamente (acciaio, alluminio e forse auto, un comparto in cui gli Usa hanno un deficit di 120 miliardi di dollari nei confronti dell’Ue e dove l’Europa pratica dazi pari a quattro volte quelli americani) e quelli che avrebbero implicazioni avverse indirettamente, a ragione della distorsione dei flussi commerciali tradizionali (quali quelli cinesi) per i quali il mercato americano si chiude; probabilmente si dirigeranno verso le destinazioni rimaste accessibili, come l’Ue. Un esempio sono le aziende italiane che vendono tondi per cemento armato, che possono temere la maggiore competizione nei loro principali mercati di sbocco, come l’Algeria, di prodotti provenienti, per esempio, dalla Turchia.

In secondo luogo, occorre ricordare che il ‘neo protezionismo imperfetto americano ha da anni un alleato nella Commissione europea che non ha mai nascosto di preferire intese bilaterali tra grandi mercati comuni e aree di libero scambio a un sistema multilaterale e di non gradire l’Omc che ha come parti contraenti i singoli Stati e non entità che si ritengono sopranazionali come la Commissione medesima. Su questo punto un governo che si proclama “sovranista” dovrebbe farsi ascoltare a Bruxelles ed insistere perché la disputa venga riportata su quella riva del Lago Lemano dove ha sede l’Omc – e si pranza o cena magnificamente bene al ristorante La Pèrle du Lac, proprio accanto alla sede dell’Omc.

In terzo luogo, occorre pensare che Trump sta giocando una battaglia ingarbugliata che gli sta già ritorcendo contro (e che probabilmente ha obiettivi differenti di quelli di frenare import di siderurgia e metallurgia, e forse di auto, dall’Europa e dal Canada). Sgombriamo subito il campo dalle auto: Jennifer A. Hillman del Centro di Studi Giuridici Internazionale della Università di Georgetown, nonché – quel che più conta- componente della corte d’appello del tribunale Omc sulle dispute commerciali ha scritto chiaro e tondo che ci si deve arrampicare sugli specchi per collegare l’import di auto alle deroghe (previste nel corpo giuridico Omc) per ragioni di “sicurezza nazionale”. Nel contempo – è sempre la Hillman a rilevarlo- l’Amministrazione americana (ossia Trump) si sta intrappolando con se stesso in quanto le misure nei confronti di siderurgia e metallurgia (e l’indagine sulle auto del Dipartimento del Commercio) hanno bloccato la rinegoziazione del Nafta (il trattato sull’area di libero scambio nordamericana), infuriando diverse categorie mentre quello che Eisenhower chiamava the industrial military complex è inviperito per i dazi che causano un aumento dei costi di loro input produttivi importati come i prodotti della siderurgia e metallurgia.

Cosa pensare? Che alla Casa Bianca non si renda conto del fin troppo palese Trump contro Trump? O che si stia scientemente sparigliando il campo per confondere i potenziali avversari ed essere meglio attrezzati nella guerriglia commerciale che davvero conta- quella con la Cina?

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