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Perché l’Italia deve mantenere la rotta atlantica. L’analisi di Luciolli

L’imminente vertice di Bruxelles costituisce un’occasione unica per il governo italiano per riaffermare la vocazione atlantica dell’Italia e contribuire a determinare i futuri impegni della Nato, con un equilibrio più attento alle sfide provenienti da sud. La rotta atlantica che il 30 luglio condurrà il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Casa Bianca, se sostenuta da una chiara visione strategica, è anche quella che nell’attuale congiuntura internazionale può contribuire non solo a rilanciare il ruolo dell’Italia nella Nato, ma anche a rafforzarne il peso nella stessa Unione europea.

Per un “cambiamento” di passo in politica estera e di sicurezza, il governo dovrebbe riprendere la rotta tracciata dai padri fondatori della Repubblica che, con coraggio e lungimiranza, ancorarono l’Italia all’Occidente, ritenendo che gli interessi nazionali potessero essere più efficacemente perseguiti attraverso una partecipazione attiva nelle istituzioni europee e atlantiche, da iscriversi nella più ampia cornice di riferimento delle Nazioni Unite. È in questo quadro che l’Italia ha sempre espresso la propria politica estera e partecipato alle missioni di mantenimento della pace.

Negli ultimi anni, questo assioma che ha sempre saputo coniugare il processo d’integrazione europea con un forte legame transatlantico, è andato smarrito. È venuto meno quell’equilibrio che aveva sempre sorretto il cammino della politica estera e di sicurezza nazionale, e che fondava la sua stabilità nella sinergia e nel bilanciamento dell’azione italiana su entrambi i pilastri dell’Unione europea e della Nato.

Mentre le Forze armate impegnate nelle missioni dell’Alleanza Atlantica continuavano a conferire credibilità al Paese, la politica estera italiana è apparsa sempre più velleitariamente sbilanciata a favore dell’Unione europea. Eppure, nonostante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, le celebrazioni per i 60 anni dei Trattati di Roma e le diverse posizioni apicali ricoperte nelle istituzioni europee, oggi l’Italia fatica ancora a rompere un isolamento e a contrastare i pervasivi interessi carolingi.

Tuttavia, la Francia riveste un ruolo meno ambizioso in ambito Nato, con ciò lasciando ampi margini di azione all’Italia che può, in occasione del vertice di Bruxelles e nella successiva visita del presidente del Consiglio a Washington, porsi come credibile interlocutore per gli Stati Uniti in ambito Nato e come tale, rafforzare il ruolo dell’Italia anche presso le istituzioni europee. È, difatti, attraverso lo snodo transatlantico che l’Italia può più agevolmente recuperare il peso che le compete in Europa.

A tal fine, è opportuno ricordare che l’Italia: è un paese fondatore dell’Alleanza Atlantica e dell’Ue; ospita un numero di basi Usa e Nato sul suo territorio tra i più alti in Europa; ha seguito, più del Regno Unito, gli Usa nelle operazioni di mantenimento della pace; ha la responsabilità del comando delle forze terrestri della Nato response force; è alla guida della missione in Kosovo; comanda il Joint force command di Brunssum; si proietta con ottomila chilometri di coste nella regione turbolenta del Mediterraneo; dirige il neo costituito” Strategic direction south hub” presso il Comando alleato di Napoli; ha in fase di accreditamento il Centro di eccellenza (Coe) per la Security force assistance; infine, ha acquisito negli Usa importanti società come Chrysler e DRS.

Inoltre, un rafforzamento della politica estera in chiave transatlantica favorirebbe quelle industrie nazionali della difesa, con base negli Usa, che risulterebbe più difficile penalizzare nell’ambito dei nascenti progetti e finanziamenti europei per la difesa. Tuttavia, tali elementi andranno sorretti da una visione strategica e da impegni, anche finanziari, credibili. L’Italia si presenta al vertice di Bruxelles con istanze legittime, ma in controtendenza rispetto a quelle degli Alleati. L’annunciato ritiro di truppe dall’Afghanistan, così come le richieste di apertura al dialogo con la Federazione russa, dovranno comunque essere avanzate in maniera concertata con gli Alleati: pena l’isolamento e l’irrilevanza. Più che la logica del “dare” e “avere” vige nell’Alleanza una logica di solidarietà. Questa richiede, altresì, credibilità nel mantenimento degli impegni presi relativamente ai contributi di carattere finanziario, di capacità e alle operazioni della Nato. Impegni, alcuni dei quali, vedono l’Italia ancora distante dal raggiungimento degli obiettivi del 2% del Pil per la difesa assunti nel vertice del Galles del 2014.

I due appuntamenti transatlantici che a luglio attendono il presidente del Consiglio a Bruxelles per il vertice Nato e alla Casa Bianca, è auspicabile costituiscano due momenti di un’unica visione strategica. Un’Italia che sia in grado di rilanciare la rotta atlantica e attraverso di essa il proprio ruolo nelle istituzioni euro‑atlantiche, non solo sarà in grado di perseguire più efficacemente i propri interessi nazionali ma sarà, altresì, determinante nel qualificare i compiti che la Nato dovrà affrontare nella regione mediterranea.



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