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La solitudine di Berlusconi, spiegata da Corrado Ocone

Forza Italia, cavaliere

Salvini è l’erede non designato e non desiderato di Berlusconi. A forza di divorare i suoi stessi figli, prima mettendoli al mondo e poi delegittimandoli (da Alfano a Parisi l’elenco è lungo), Berlusconi si è trovato leader del suo campo un politico che mal sopporta. Non beninteso per motivi antropologici, che pure ci sono e contano, né per questioni di linea politica. Ciò che proprio a Berlusconi non va giù è che non lo controlla, che Salvini fa di testa sua, che riscuote più successo di lui. E che, infine, ha conquistato l’eredità (che vive senza sentirla nemmeno pesante) con le armi della politica. Quelle armi che, lo si giudichi come vuole, il Cavaliere disarcionato, grazie anche al suo fiuto e alla sua capacità di catturare il pubblico, aveva in sommo grado.

Salvini, nonostante tutto, è però un figlio di Berlusconi, così come per certi versi lo era stato il Renzi “rottamatore” delle origini. Il che, fra l’altro, rende spuntata in mano al Pd l’arma dell’ “antipopulismo” (una quota di “populismo” è connessa alla politica moderna, e anche a quella tout court). Non dimentichiamo che era stato Berlusconi per primo a dare una risposta “antisistema” alla crisi di sistema dell’Italia repubblicana che si è esplicitata con Mani Pulite. In cerca di un equilibrio nuovo che, a ben vedere, a venticinque anni di distanza, il nostro Paese non ha ancora trovato. Egli lo individuò in una “rivoluzione liberale” che, vuoi per l’ostruzionismo delle caste corporative, vuoi per l’intervento in campo di una magistratura politicizzata e di un mondo in senso lato culturale asservito, vuoi anche per i limiti soggettivi di un leader che cercava di piacere a tutti, alla fine non si realizzò affatto. Rimase però la capacità di Berlusconi, che le tradizionali forze politiche avevano persa (in primis quelle di sinistra), di sapersi sintonizzzare sul sentimento popolare e di sapere catturare il consenso.

Con il suo linguaggio semplice e non convenzionale per un politico, con il suo intuito e la sua capacità scenica, con l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione, Berlusconi mandava continuamente un messaggio agli italiani: “sono uno di voi”, quindi anche con tutti i vostri pregi e i vostri difetti che non giudico. Per confermare questo messaggio, egli non ebbe timore di rompere non solo con i miti e i riti della Repubblica a lui precedente, ma anche di forzare la mano giungendo fino a un passo da quelli che vennero giudicati “strappi istituzionali”. Ma d’altronde, se “rivoluzione ha da essere, perché rispettare più di tanto le vecchie e anchilosate istituzioni? Fra le vestali di queste ultime e gli umori del popolo, Berlusconi, con il suo enorme fiuto, sapeva chi scegliere. Alla prova dei fatti, la rivoluzione, come si è detto, non ci fu. Almeno non nel senso politico sostanziale. Cambiò invece sicuramente l’atteggiamento degli italiani verso il mondo della politica. Salvini, da questo punto di vista, non è altro che l’evoluzione della specie, un Berlusconi ancora più netto e radicalizzato. Il parlare schietto e diretto in lui sfocia spesso nella rozzezza e volgarità. Ma, d’altronde, non sono proprio i discorsi degli italiani, quelli che sentiamo al bar o in metropolitana, così fatti? Con i quali il nostro ha preso degli impegni che, al contrario del suo predecessore (e di Renzi) vuole realizzare. Si è ammantato di quella rozzezza che è propria degli italiani, con i quali egli prende impegni che vuole realizzare. Le forme vengono dopo. E questo agli italiani piace. Il rapporto che il leader leghista ha instaurato con loro taglia corto, in maniera ancora più radicale che in Berlusconi, con le mediazioni, il rispetto istituzionale, i mille compromessi corporativi che tenevano in vita il vecchio sistema. In più, Salvini si fa interprete e si fa carico delle paure e delle insicurezze degli italiani (non le crea manipolandole come qualche sprovveduto dice).

La malleabilità mercantile di Berlusconi si è certo ora trasformata nell’intransigenza del bottegaio, ma anche l’Italia è molto cambiata in questi anni. E, colpita da una crisi economica e ancor più morale e identitaria, firma una cambiale ma non in bianco al nuovo arrivato: il consenso c’è, ma ci sarà solo fino a quando Salvini non li deluderà o si farà risucchiare anche lui dal vecchio Stato. Nel frattempo, complici immani tragedie come quella di Genova, il vecchio potere e la vecchia classe dirigente, politica economica e culturale, si sgretola ancor più sotto i colpi delle rivelazioni e della ricostruzione dei rapporti, più o meno insani, che la tenevano in vita. È un processo di agnizione collettiva che, oggettivamente, favorisce i nuovi arrivati. Per tutti questi motivi, di continuità più che di rottura fra Berlusconi e Salvini, il ripiegamento moderato e europeista del primo, messo sotto tutela nel suo stesso partito dai Letta o dai Tafani, non convince. E, in fondo, credo, non convinca nemmeno lui stesso. Da qui un certo impaccio sulla linea politica (no a Foa in Rai ma sì, ad esempio, alle politiche del ministro dell’interno sull’immigrazione).

E da qui la solitudine e il silenzio dell’uomo di palcoscenico che capisce che il pubblico non lo segue più e che, con il fiuto e l’istinto, sa che la parte che recita in commedia non è quella sua. Detto altrimenti: il posto che occupa non gli porta successo politico, e non corrisponde nemmeno alla sua vera e “profonda” natura. Per ripicca e per orgoglio verso chi ha osato scalzarlo affinando le sue stesse armi, Berlusconi è costretto a sperare in una rinascita che, anche a causa dell’età, apparirà sotto sotto a lui stesso improbabile.

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