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Lo spread, gli gnomi di Zurigo e l’Italia, vaso di coccio fra vasi di ferro

fitch tria

Nella politica, più che nella finanza, italiana, in questo caldo e temporalesco agosto sono riapparsi gli gnomi di Zurigo. Di cosa si tratta? È un termine dispregiativo usato per descrivere i banchieri svizzeri. Il leader del partito laburista britannico, George Brown, ha coniato il termine nel novembre 1964 nel corso di un incontro sul rapido declino della sterlina inglese: era convinto che le attività di speculazione di cambio di banche svizzere avessero causato il deprezzamento della sterlina e pochi anni dopo, nel novembre 1967, la fine della sterling area lira e dell’unione monetaria imperniata sulla valuta britannica.

Il termine, però, diventò popolarissimo in bocca del Presidente americano Richard M. Nixon durante le tensioni finanziarie internazionali che portano, prima, alla fine del “tallone aureo” per il dollaro Usa e poco dopo al crollo del sistema monetario creato nel 1944 alla Conferenza di Bretton Woods. Zurigo – come è noto – è il più importante centro finanziario della Svizzera ed uno dei maggiori a livello mondiale. Gli gnomi sono creature mitiche che si dice vivono nel sottosuolo dove si custodisce il denaro. Le banche svizzere sono note per la loro riservatezza; storicamente avrebbero mantenuto i depositi dei clienti in sotterranei. Così, il termine gnomi di Zurigo è venuto per descrivere, prima, i banchieri svizzeri e poi la finanza tout court, la demoplutocrazia di staraciana memoria sempre in agguato contro i governi espressi dal popolo.

Gli gnomi sono stati tirati fuori dall’oblio dove pareva fossero finiti del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan che li ha accusati di avere scatenato una vera e propria guerra economica contro il suo Paese. Un paio di giorni dopo li ha evocati uno dei due vice presidenti del Consiglio italiani per rispondere ad una notizia del Wall Street Journal secondo cui l’Italia è a forte rischio o di un “commissariamento” da parte di Banca centrale europea, di Commissione europea e di Fondo monetario internazionale (la trojka) e di dover uscire dalla moneta unica e, quindi, dall’Ue. Rilievi analoghi, anche se non così espliciti, sono apparsi su altre testate internazionali dove si è affermato che, uscita (o quasi) la Grecia dalla crisi, ora è il caso di rivolgere l’attenzione all’Italia. In breve, quasi in parallelo con le prossime pronunce delle agenzie di rating , si profila il cigno nero evocato dal ministro agli Affari Europei, prof. Paolo Savona.

Ci sono determinanti internazionali ed interne che annunciano un vasto ciclone finanziario che minaccia di colpire i Paesi considerati, a torto o a ragione, “deboli” dell’Unione europea (Ue). Della tempesta abbattutasi sulla Turchia, del tracollo del cambio della lira turca, del “fuggi fuggi” dalla Borsa e dai titoli di Stato, le cronache dei quotidiani riportano tutti i dettagli. Così la tesi del presidente Erdogan e del suo genero alla guida del ministero dell’Economia che si tratti di un complotto politico ispirato, oltre che dai soliti gnomi di Zurigo, dagli Stati Uniti, e innescato dai dazi Usa su siderurgia e alluminio. D’altro canto, però, si è gradualmente accumulata una crescente sfiducia nei confronti della politica economica “populista” e “sovranista” perseguita da Ankara con una forte dose di autoritarismo e con le leve della finanza in poche mani.

Pochi, sono al corrente della ben più grave crisi finanziaria in corso in Cina. Il governo di Pechino ha fatto ricorso all’esercito per fare fronte alle proteste di migliaia di dimostranti che si considerano, a torto o ragione, truffati da casse di risparmio e piattaforme on line di compravendita di titoli. Una crisi di dimensioni gravissime, anche perché secondo le accuse delle associazioni di risparmiatori nel giro sarebbero coinvolti congiunti di alte personalità pubbliche. È difficile preconizzare che esito potrà avere la maxi-missione del ministro dell’Economia e delle Finanza Giovanni Tria, che proprio in mezzo a a questo pasticcio, si reca a Pechino per convincere i cinesi ad acquistare una quota significativa del nostro debito pubblico.

Inoltre, c’è turbolenza in vista sul mercato americano dove rischia di esplodere la bolla dell’obbligazionario americano. Abbiamo più volte avvertito che per individuare la genesi della prossima crisi finanziaria occorre studiare non l’azionario ma l’obbligazionario, gonfiatosi oltre ogni aspettativa negli anni delle politiche monetarie “non convenzionali” per trainare economia e finanza al di fuori della crisi iniziata nell’estate 2007. I corporate bonds americani hanno raggiunto la strabiliante cifra di 41 trilioni di dollari. I tassi d’interesse raso terra hanno stimolato l’acquisto di obbligazioni al tempo stesso ad alto prezzo ed ad alto rischio. Dall’inizio del mese, a Wall Street si ascolta il ritornello che “la festa sta per finire”.

L’Italia è in mezzo a questi focolai, vaso di coccio tra vasi di ferro. Il governo è in fase di rodaggio e posto all’improvviso di fronte a una crisi gravissima del nostro parco infrastrutture per fare fronte alla quale ci vogliono prima e più ancora dei finanziamenti progetti ad alto rendimento economico e sociale, nonché immediatamente cantierabili. Le due anime delle forze politiche che lo sorreggono non sembrano ancora coagulate in un compatto coeso con obiettivi chiari e una rotta definita per raggiungerli. Lo stesso ruolo dei ministri tecnici pare a volte messo in discussione dai leader delle due forze politiche. Il ministro dell’Economia e delle Finanze promette una manovra economica rigorosa ma i due vice presidenti del Consiglio hanno presentato misure che nella prossima legge di bilancio comporterebbero (ove venissero tutte incluse) un costo di circa 100 miliardi di euro. La riforma della previdenza è in un vero e proprio caos. I rapporti con la Ue e con i maggiori partner non sembrano essere i migliori. Il sistema bancario e finanziario ha numerose fragilità. Lo spread aumenta. Chiamiamoli pure gnomi di Zurigo ma milioni di risparmiatori rischiano di non nutrire grande fiducia nell’Italia, nelle sue politiche economiche e in chi la guida.



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