Il 12 settembre saranno nelle scuole, pubbliche statali (circa 7.700 studenti) e pubbliche paritarie (1.100 studenti), docenti coraggiosi e tenaci riguardo al fatto che la cultura è l’unica chance per bambini, adolescenti, giovani di essere adulti di spessore, capaci di restare in piedi sul ring della vita e recuperare ogni giorno il senso di essere vivi. Quando i ragazzi si domanderanno “Che senso ha vivere?”, la risposta dipenderà molto dal tipo di maestri che hanno avuto. Non improvvisati.
Oggi chi scrive ha trovato conferma nella memoria, visitando la mostra “I Luoghi di Renata Fonte”. Una donna, moglie e madre, assessore al Comune di Nardò (LE), ma anche e soprattutto una docente rimasta viva nella memoria di centinaia di persone che la ricordano. Era il 31 Marzo 1984, un tardo pomeriggio; avevo 9 anni ed era terminato il doposcuola, in una buona scuola pubblica statale che i miei genitori avevano scelta per gli ottimi docenti e per le attività pomeridiane di qualità. Ho vivo il ricordo che alle medie mia mamma mi trasferì in un’altra scuola, perché quella dove mi aveva iscritta inizialmente non le dava la sicurezza di una cultura soda. Di quegli anni ricordo lo studio assiduo, i no ricevuti che mi avrebbero aiutata a gestire gli insuccessi, gli eventi dolorosi che la vita naturalmente ha in serbo per ciascuno di noi; quelle esperienze vive avrebbero forgiato il mio carattere determinato. “Occorre compiere il proprio dovere sino in fondo costi quel che costi”. Non ci si improvvisa guerrieri. Quando, oggi, qualcuno mi consiglia di arrendermi con frasi lapidarie del tipo: “tanto non cambierà nulla”, “Ma chi te la fa fare?”, se non avessi registrato nel mio inconscio e nella mia memoria vigile parole da guerriera, forse avrei ascoltato già queste sirene. Perché – che lo si voglia o meno – consapevoli o meno noi incidiamo nelle vite degli altri e nella società. E quest’ultima è lo specchio di chi noi siamo.
Anni spensierati con bravi maestri, che sapevano condire lo studio e l’applicazione con attività divertenti. A me piaceva andare a scuola e ricordo l’intesa (nessuna sbavatura, nessun contrasto, certamente perché cautamente evitato nel rispetto delle parti) fra i miei genitori, i primi responsabili della mia educazione, e il maestro. Allora c’era il rispetto dei ruoli visti come responsabilità agita piuttosto che come rivendicazione da ring per giustificare il proprio fallimento. Ritorno a quel pomeriggio, avevamo terminato i compiti e le maestre visibilmente stanche (i docenti lavorano non solo in classe, molto del lavoro è nei consigli di classe, collegi docenti, incontri con le famiglie e preparazione personale) erano sulla porta della classe ad attendere i nostri genitori. La maestra di turno in quei giorni era Renata Fonte, quel pomeriggio stanca e molto raffreddata. Io bimba sensibile ma anche curiosa ascoltavo il dialogo fra maestre. Come è vero che i bambini ci guardano e i ragazzi assorbono da noi più con l’esempio che con mille regole. La collega le rivolge un invito amichevole “Sei davvero raffreddata avrai anche la febbre! Quando arrivano i genitori vai a casa.” – ho ripescato nella mia memoria il luogo, le parole esatte. Renata Fonte rispose: “Sì, avrò forse la febbre, ma oggi ho il Consiglio comunale: non posso mancare”. Quelle parole chiare, semplici, sine glossa, forse anche un po’ ruvide risuonarono in me bambina come quel senso del dovere che ti fa fare le cose bene, sino in fondo senza sconti. Chissà se quelle due maestre notarono che tra quei bambini che gli giocavano davanti alla porta della classe, in quel corridoio ricco dei disegni di noi bimbi, una bambina timida e riservata (erano costanti nei miei giudizi in pagella queste due paroline) si era fermata a guardarle e ad ascoltarle? Forse no, pur tuttavia quelle parole pronunciate da una autorità per me, la Maestra, segnarono la mia vita. Da adulta ho scelto di vivere con un senso di responsabilità e di lotta per la tutela del diritto di apprendere degli studenti senza alcuna discriminazione economica, del diritto dei docenti di poter scegliere se insegnare in una buona scuola pubblica statale e paritaria, dedicando tempo, studio e ricerca e rifuggendo dagli slogan, proprio perché la mia vita è stata segnata da bravi maestri ed eccellenti docenti. I nostri ragazzi ci guardano, pregiati onorevoli e ministri, docenti e genitori, e imparano da noi.
Da bambina incuriosita e forse già con le mie categorie mentali di tipo organizzativo, domandai alla maestra Renata: “Ma sei lei rientra tardi a casa le sue bambine cosa mangiano?” Mi rispose in modo determinato cosi come era lei, essenziale e diretta “Le mie bambine sono autonome; ho insegnato loro a cavarsela. Sanno cucinare”. Rimasi stupita, erano poco più grandi di me ed io sinceramente senza la mamma in casa non mi immaginavo.
Il giorno dopo risuonava in città e nella mia scuola, in modo lapidario la notizia: “Hanno sparato a Renata Fonte”. Alcune classi andarono al funerale, la mia no. La mia maestra decise così e a me bimba, in fondo, andava bene la scelta. Ho così conservato il ricordo di una maestra che in quello scambio di battute mi aveva insegnato che è bello vivere impegnandomi per un ideale, spendendo la vita a favore di qualcosa di grande.
Renata Fonte, vittima di mafia: cosi si decreto negli anni a seguire. Quella bambina scelse di studiare giurisprudenza; correva il 1994: molti di noi fecero questa scelta, chissà, forse come me affascinati da Borsellino e Falcone.
Ho voluto superare la mia riservatezza e condividere questo ricordo dedicandolo a tutti quei docenti che anche quest’anno, come ogni anno, entrano in classe. Essere docente non può apparire un ripiego: può essere una ragione di vita.