Commissariamento, politica dell’annuncio o restrizioni in arrivo? La decisione presa nei giorni scorsi da Papa Francesco, e cioè di nominare l’arcivescovo di Varsavia Henryk Hoser (nella foto) come “inviato speciale” in quel di Medjugorje, ha suscitato la solita divisione (perfettamente al 50%) tra chi, nella Chiesa, è a favore e chi contro le presunte apparizioni che dal lontano giugno 1981 si verificherebbero in questo paesino della Bosnia-Erzegovina e coinvolgerebbero sei veggenti.
Nessuno di essi ha scelto la vita religiosa, a differenza delle veggenti di Lourdes e Fatima (Bernadette Soubirous, poi santa, e Lucia Dos Santos): sono tutti sposati e con figli, e alcuni di essi hanno case di accoglienza o hotel in quel di Medjugorje dove spesso li si può vedere servire ai tavoli.
Questo molto spesso ha messo in dubbio la bontà delle apparizioni. La Commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini e voluta da Benedetto XVI, i cui lavori – con annesso report – sono terminati nel 2014, avrebbe interrogato i veggenti più sulla loro vita privata che sul contenuto delle apparizioni, sulle quali vige il non constat de supernaturalitate, cioè: ancora non è possibile giungere ad un giudizio definitivo. I fedeli sono quindi liberi di pensarla (e pregarla) come vogliono.
E siamo quindi al punto: neanche adesso (salvo clamorosi sviluppi) la Chiesa può pronunciarsi sui fatti. È infatti nel suo modus operandi attendere la fine delle apparizioni per pronunciare un giudizio definitivo. E non è la prima volta che delle apparizioni si protraggano per decenni: a Notre Dame du Laus, vicino al confine con la Val d’Aosta, le apparizioni si sono protratte per 54 anni e il riconoscimento ufficiale della Chiesa è datato 2008.
La nomina di un inviato papale, con un anno e otto mesi di ritardo rispetto all’annuncio di Jorge Mario Bergoglio (aveva promesso decisioni il 6 giugno 2015, sul volo di ritorno da Sarajevo), mostra la cautela di Roma in materia ma anche la sua attenzione. Perché ormai il fenomeno non può più essere ignorato.
Parliamo di milioni di pellegrini che ogni anno giungono qui: c’è un fiorente mercato di pellegrinaggi privati (sono vietati quelli diocesani) e non mancano conversioni, esorcismi (non pochi) e qualche guarigione che la Chiesa non può classificare come miracolo perché altrimenti riconoscerebbe la veridicità delle apparizioni. È il caso, per esempio, di Cristian Filice di Piane Crati (Cs), che aveva la sclerosi laterale amiotrofica e il 26 settembre 2013 ha preso a camminare ed è guarito. L’arcidiocesi di Cosenza-Bisignano segue il suo caso e l’ha circondato di attenta riservatezza.
In assenza di un riconoscimento ufficiale, Medjugorje potrebbe essere indicato come luogo di culto, ma disgiunto dalle apparizioni (in questo caso i veggenti non potrebbero più incontrare i pellegrini e diffondere i messaggi della Madonna).
È la soluzione adottata per Heroldsbach (Germania) che, negli anni ’50, venne definito con la formula constat de non supernaturalitate chiudendo la questione. Si è ventilata l’ipotesi di un santuario, ma in questo caso si tratterebbe di un riconoscimento implicito. È da ipotizzare che Roma cercherà di sottrarre i veggenti all’attenzione dei pellegrini e regolare i pellegrinaggi in loco, magari fornendo un’assistenza spirituale adeguata. Anche perché c’è chi dice che il Papa, quando si riferisce alla «Madonna che non è una postina» se la prenderebbe non con Medjugorje (anzi: quand’era cardinale autorizzò un incontro a Buenos Aires, stadio Malvinas, del veggente Ivan Dragicevic con i devoti argentini di Medjugorje), ma con le sedicenti apparizioni di Jacareì, Brasile, dove i due presunti veggenti riceverebbero ogni giorno alle 18.30 messaggi dalla Vergine, San Giuseppe, lo Spirito Santo e adesso anche il Padreterno. Con contorno di ben 13 segreti (3 a Fatima, che però è riconosciuta; e 10 a Medjugorje) e messaggio in cui si afferma che Jacareì sarà la conclusione di Medjugorje (Ma Medjugorje afferma di concludere e completare Fatima). Troppa grazia Sant’Antonio, è il caso di dire.
(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)