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Tutti i numeri dei Comuni in dissesto

siena,

I conti dei Comuni italiani sono sempre più precari. Il quadro di crisi che emerge da un documento pubblicato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili è complesso e preoccupante: le statistiche dicono che negli ultimi anni sta crescendo il numero dei comuni in dissesto. Non solo: emerge che sono i piccoli Comuni quelli più a rischio, specialmente in alcune zone del paese: Campania, Calabria e Sicilia.

I COMUNI DEFICITARI
Le statistiche dividono gli enti locali in sofferenza in tre gruppi. I comuni deficitari, quelli in pre-dissesto e quelli in dissesto vero e proprio. I primi sono quegli enti che sforano almeno cinque dei dieci parametri stabiliti dal decreto ministeriale del 18 febbraio 2013, per esempio un saldo negativo del risultato contabile di gestione superiore al 5% delle entrate correnti, oppure l’eccessiva quota di residui attivi o passivi in relazione a spese. Attualmente sono in totale 67 di cui 8 al nord, sei al centro 28 al sud e 25 sulle isole. La legge sottopone i comuni deficitari a un controllo per individuare gli enti in deficit strutturale, il primo passo sulla procedura del default.

I COMUNI IN PRE-DISSESTO
Il cosiddetto pre-dissesto è stato introdotto nel 2012. Si tratta di una procedura che i comuni in crisi strutturale possono mettere in atto per evitare il dissesto vero e proprio, e consiste in un piano di riequilibrio pluriennale che può essere assistito dallo Stato, il quale può anticipare risorse attingendo ad uno specifico fondo, il Fondo rotativo. In sostanza l’obiettivo della procedura del pre-dissesto è aumentare le entrate dei Comuni e diminuire le spese: ecco perché solitamente gli enti che scelgono questa opzione vedono impennare la pressione fiscale e talvolta tagliare i propri servizi. Allo stato attuale, sono 151 i comuni che hanno dichiarato il pre-dissesto. Fra questi, solo per citare i capoluoghi, figurano Terni, Frosinone, Rieti, Pescara, Benevento, Caserta, Foggia, Cosenza, Reggio Calabria, Catania e Messina. E poi c’è Napoli, l’unico comune sopra i 250mila abitanti in questa condizione. Il sud e le isole si confermano in sofferenza, con rispettivamente il 59% e il 19% dei comuni in default del totale nazionale.

I COMUNI IN DISSESTO
La legge dice che un Comune è in dissesto finanziario quando “non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili” oppure quando “esistono nei confronti dell’ente locale crediti di cui non si possa far validamente fronte. In pratica, si tratta a tutti gli effetti di enti che dichiarano il fallimento. Per semplificare, la differenza con il pre-dissesto è la maggiore gravità della situazione. Nel caso del pre-dissesto, i Comuni possono presentare un piano di risanamento alla Corte dei Conti con alcuni margini di manovra. Viceversa, le misure correttive, tipo l’aumento delle aliquote, scattano automaticamente. In Italia ci sono 107 Comuni in questa condizione.
Il dissesto degli enti locali è stato introdotto dal decreto legge 66 del 2 marzo 1989, che prevedeva, semplificando, un intervento eccezionale dello Stato in favore dei Comuni coinvolti. In sostanza, lo Stato sopperiva alle mancanze finanziarie dei Comuni chiedendo in cambio una serie di provvedimenti eccezionali per risanare gli enti “falliti”. Ciò significava, in sintesi, aumento dei tributi locali e taglio dei servizi. Trattandosi di misure largamente impopolari, molti Comuni hanno dichiarato il dissesto soltanto nel momento in cui si sono trovati impossibilitati a pagare gli stipendi. Quando cioè la situazione contabile era già largamente compromessa. Talmente compromessa che ci sono comuni che hanno addirittura dichiarato il “doppio dissesto”, ovvero un secondo fallimento prima ancora di essersi risanati. Ma la normativa è cambiata nel corso degli anni, e di fatto oggi è molto meno “conveniente” per i Comuni, dichiarare il dissesto.

I COMUNI PICCOLI SOFFRONO DI PIU’
Dalle statistiche emerge un altro dato: più un Comune è piccolo, più soffre dal punto di vista finanziario. I numeri parlano chiaro: dei 67 Comuni deficitari, ben 51, ovvero il 76%, hanno meno di 10mila abitanti, e ben il 36% ne hanno meno di 2000. Un quadro simile vale per i pre-dissestati: il 66% ha meno di 10mila abitanti, percentuale che si impenna all’85% se includiamo le città fino a 20mila abitanti. Idem per i dissesti dichiarati: l’80% riguarda comuni con meno di 20mila abitanti.

CRESCE LA CURVA DELLA SOFFERENZA
Un altro dato da considerare è come cambia la percentuale dei Comuni in sofferenza finanziaria dal 1989, l’anno dell’istituzione del dissesto, ad oggi. L’analisi è piuttosto complessa ed è strettamente legata al mutamento normativo intercorso, ma il trend è abbastanza chiaro: dopo una prima fase di “boom” delle procedure di default, dovuta a una normativa estremamente favorevole per i Comuni aderenti, si è assistito a una rapido e costante calo, proseguito fino al 2009-2010. Dopodiché la curva ha ripreso a salire sensibilmente, fino al picco del 2014, che ha visto 24 nuovi dissesti. Negli ultimi due anni si è registrato un nuovo, piccolo calo, e l’ultimo dato disponibile sono i 17 “crack” del 2016. Nel complesso, comunque, occorre concludere che gli enti in sofferenza stanno aumentando, seppure con andamento ondivago.

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