L’opera d’arte sorprende il suo stesso creatore
Sin dalle prime edizioni del convegno “Poetica & Cristianesimo”, iniziato nel 2003, ci siamo confrontati con la realtà misteriosa dell’opera umana che sfugge al controllo dell’uomo. Non nel modo inquietante in cui oggi la tecnologia spesso ci spinge a chiederci chi è che fa l’apprendista stregone, ma secondo un dinamismo più in armonia con la stessa condizione umana. Anche i figli sfuggono ai calcoli dei genitori: “Da dove hai preso questo? Non te l’abbiamo insegnato noi!”. In loro c’è un’iniziativa, non sono meri ricettacoli di ciò che i genitori vi inseriscono.
Così anche l’opera d’arte sorprende il suo stesso creatore. La nota tesi aristotelica sull’arte che imita la natura parla in primo luogo del processo: l’apparizione dell’opera d’arte è analoga alla generazione con cui la natura dà luogo a nuove creature. Questa somiglianza comprende l’impossibilità di controllo totale, un’inafferrabilità dove, in parole di Luigi Pareyson, “si rivela quel tipico destino dell’uomo, di trovarsi a fare cose che poi non riesce a penetrare fino in fondo, eppure le ha fatte lui stesso; ché le opere d’arte, per possibile e necessaria che sia la loro lettura, esecuzione e interpretazione, e per chiara che sia l’attività puramente umana che le ha realizzate, hanno pur sempre qualcosa di misterioso, e ne sarebbe greve e rozzo lettore chi si lasciasse sfuggire questo alone d’arcano che le avvolge, e che le accomuna alle insondabili profondità della natura”.
Natura e arte come persona e opera
Il compositore non può prevedere – né lo vuole! – tutte le sfumature possibili che gli interpreti troveranno in ciò che lui ha scritto e quindi le letture che ne faranno, e lo stesso avviene in tutte le arti. Per la fruizione dell’opera d’arte si può pensare che ci basti il risultato, ma non appena vogliamo approfondire un po’ sentiamo il bisogno di sapere qualcosa sulle sue origini; non in un senso storico, biografico, ma in quello proprio del desiderio di cogliere la genesi stessa dell’opera per partecipare alla sua gestazione. La somiglianza fra natura e arte si riscontra anche nel rapporto fra persona e opera. È proprio della persona vivere costantemente un dinamismo di diventare se stessa, e così pure l’opera d’arte è e non è ciò che è, perché, pur realissima, esiste nell’essere interpretata, fruita. Ogni volta che contempliamo un’opera d’arte prendiamo parte, spesso inconsapevolmente, alla sua creazione.
Opera, dono insondabile della natura
Qui sta il cuore dell’edizione 2015: “Scrivere. Per chi e perché”. L’artista non è una pura volontà di creare che fa ciò che vuole. Il suo modo di mettersi di fronte all’opera è molto simile a quello che serve di fronte a un’altra persona. Il compositore russo Alfred Schnittke descriveva la sua esperienza come uno sforzo per mantenersi fedele a qualcosa di preesistente: “Il tuo lavoro non è in nessun modo un mettere insieme ed eseguire delle istruzioni tecniche: è come ascoltare qualcosa che è già lì”. Da un mondo completamente diverso ci arriva la medesima narrativa. Un anonimo principe e poeta del Messico precolombiano tesse le lodi di un re, poeta pure lui, per il tuo talento di preservare la bellezza delle poesie che lui riceve: “È dall’interno del cielo che giungono questi bei fiori, questi bei canti./Li fa avvizzire il nostro estro, li fa avvizzire la nostra arte./Ma non tu, oh re Tecayehuatzin!”. La creatura del compositore e del poeta possiede un’identità che essi dovranno curare e rispettare, possiede una libertà, si spinge ad affermare George Steiner.
Il 27 e 28 aprile ci domanderemo, quindi, quanto l’opera d’arte sia creatura dell’artista e quanto sia dono che lui accoglie, cosa si provi a creare e ad accogliere, cosa ciò comporti come esigenza vitale di inserirsi in questo flusso misterioso così simile alle “insondabili profondità della natura”.