I dipendenti della Pubblica Amministrazione italiana sono anziani, sottodimensionati, in molti casi non adeguatamente qualificati rispetto alla mansione da svolgere. Il quadro che emerge dall’indagine sul pubblico impiego realizzata da FPA, società del gruppo Digital360, e presentata al convegno di apertura del Forum Pa 2017 (Roma Convention Center “La Nuvola” 23-25 maggio) non è confortante se si pensa a quanto sia urgente un rinnovamento del nostro sistema pubblico in ottica di digitalizzazione, abbattimento degli impacci della burocrazia e efficienza dell’erogazione dei servizi. Nel 2020 l’età media dei lavoratori pubblici sarà di 53,6 anni e un terzo dei dipendenti avrà più di 60 anni e sarà in uscita dal mercato del lavoro. Non che a 50 anni si sia “vecchi”. Ma le nuove leve, i giovani cresciuti tra smartphone, video online e social media e, soprattutto, che hanno attinto a un sistema educativo nazionale e internazionale più in linea con le competenze richieste sul mercato oggi, sono linfa vitale per la PA. Attualmente solo il 40% del personale della PA è laureato e il 49% delle mansioni che richiedono una laurea è svolta da personale non laureato.
STIPENDI: IN LINEA CON LA MEDIA EUROPEA
“La nostra indagine fotografa una Pubblica amministrazione che già adesso non è più sostenibile – commenta Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA –. Se nel giro di pochi anni un terzo degli attuali lavoratori pubblici uscirà dal mercato del lavoro, non possiamo più dire che in Italia ci sono troppi dipendenti nella PA. Il sondaggio FPA dimostra che nella maggior parte dei paesi europei, in primis Germania e Regno Unito, i lavoratori del pubblico impiego sono più di quelli italiani, sia come valori assoluti sia come percentuale sul totale dei residenti. E i nostri non sono nemmeno più pagati: la spesa italiana per il monte salari è paragonabile a quella degli altri paesi europei”.
Lo Stato italiano spende mediamente per ciascun dipendente pubblico 48.000 euro, contro i 49.000 della Germania e i 46.000 dell’Inghilterra. La spesa complessiva per i dipendenti pubblici italiani, pari a 161,4 miliardi di euro, rappresenta il 10,4% del Pil nazionale (dati 2015). La Germania spende 228,6 miliardi di euro, ovvero l’8,2% del suo Pil, il Regno Unito 240,1 miliardi di euro o il 10% del Pil.
Insomma, bene l’attenzione ai costi pubblici, ma senza tagli indiscriminati. Dal 2007 a oggi la PA si è già snellita di 237.220 lavoratori, circa il 5% del suo totale, e oggi per la nostra Pubblica amministrazione lavorano poco più di 3,2 milioni di persone. Questa cifra ci allinea agli altri paesi europei; anzi, l’incidenza del settore pubblico nel mondo del lavoro in Italia è pari al 14%, meno che in Spagna e Regno Unito, dove i dipendenti pubblici rappresentano rispettivamente il 16% e il 17% del totale della forza lavoro. In Germania invece rappresentano 11% del totale. Guardando ai valori assoluti, i dipendenti pubblici in Italia sono circa due terzi di quelli inglesi e 1,3 milioni in meno rispetto a quelli tedeschi.
Va anche considerato il rapporto fra il numero di dipendenti pubblici e il totale dei cittadini residenti: in Italia ci sono 5,5 impiegati pubblici ogni 100 residenti, meno che in Germania (5,7), Spagna (6,4) e Regno Unito, dove si contano addirittura 7,9 impiegati pubblici ogni 100 cittadini. Non vuol dire arrivare al paradosso di sostenere che occorre assumere dipendenti pubblici in massa, ma sicuramente, se ci sono meno funzionari, le tecnologie digitali dovranno essere pervasive per garantire una completa efficienza nell’erogazione dei servizi.
CERCASI LAUREATI E COMPETENZE
Ma non basta. La forza della PA, prima che le tecnologie, sono le persone. E’ uno staff che “invecchia” e che pian piano esce dal mercato del lavoro: solo il 27,7% dei dipendenti pubblici ha meno di 45 anni, l’età media attuale è di 50,02 anni e nel 2020 sarà salita a 53,6 anni, con 232.000 persone che nel 2020 avranno tra i 65 e i 67 anni e più di 603.000 che ne avranno tra 60 e 64: circa un terzo dei lavoratori pubblici italiani fra tre anni dovrà andare in pensione.
Occorre dunque rimpiazzare la forza lavoro in uscita ma anche puntare sulle competenze. In Italia i dipendenti laureati o in possesso di titoli superiori sono circa il 40% del totale, il 41,1% ha un diploma di scuola media superiore, mentre il restante 18,3% si è fermato alla licenza media. Si delinea, sottolinea l’indagine di FPA, una carenza formativa che per il 33% delle posizioni professionali del pubblico impiego si traduce in un disallineamento fra domanda e offerta di competenze: nel 19% dei casi il personale non è adeguatamente qualificato per la mansione che svolge, mentre nel 14% il titolo di studio del dipendente è superiore a quello richiesto dalla posizione ricoperta. La situazione più critica è rappresentata dal gruppo degli occupati che svolgono lavori per i quali è richiesta la laurea: solo la metà (51%) ha effettivamente la laurea, gli altri no. A fronte di quest’insufficienza di competenze, il ricorso all’aggiornamento professionale è ridottissimo: meno di una giornata per ciascun dipendente (0,8) nel 2015.
“Per essere più sostenibile, la PA deve essere più aperta e attenta al capitale umano: bisogna investire in formazione”, sottolinea Gianni Dominici. “Lo ha ribadito il ministro Marianna Madia intervenendo stamattina al ForumPA: le competenze sono indispensabili per avere una Pubblica amministrazione più moderna e efficiente e l’Italia, grazie ai Fondi di coesione sociale, ha a disposizione un miliardo di euro per la formazione”.
Gli strumenti dunque ci sono: vanno usati. “Abbiamo bisogno di più profili con specializzazioni sul digitale e più manager, non burocrati”, conclude Dominici. “Soprattutto abbiamo bisogno di coinvolgere da vicino i dipendenti”. Molti lo chiamano empowerment o engagement: in pratica, dipendenti equipaggiati con le giuste competenze e motivati sono la vera molla per promuovere il cambiamento. Non dimentichiamo che l’indagine sulla burocrazia difensiva diffusa da FPA nei giorni scorsi ha messo in luce un dato eloquente: il 45,3% di chi lavora nella PA dice di non avere alcuna comprensione del senso strategico del proprio lavoro, mentre il 35,9% si sente demotivato e il 18,3% ha poca fiducia nel cambiamento. D’altro lato, però, il 50,7% dei dipendenti pubblici sentiti da FPA pensa che ci sia una precisa chiave per aprire le porte all’innovazione nella PA: la scelta meritocratica dei dirigenti, basata su capacità, competenze e risultati. Importanti anche altre due misure pro-innovazione: lo snellimento delle regole (citato dal 43,5%), il completamento della digitalizzazione di servizi e procedure (41,9%), nuove assunzioni per inglobare più competenze (31,5%) e più forza lavoro giovane (19%).