16 marzo 1978, Roma: sequestro di Aldo Moro e strage della scorta. L’esistenza di un’altra serie di rullini scomparsi spunta dopo 39 anni e si va ad aggiungere alla lista già lunga dei segreti che riguardano via Fani. Si tratta di 11 fotografie inedite lì scattate da un ottico di via Stresa, Gennaro Gualerzi, il cui esercizio, attivo sin dal 1974, si affaccia a metà della stradina che si snoda a gomito sull’incrocio-scena della sparatoria.
IL RAPPORTO DEI CARABINIERI
La loro esistenza è indicata in un rapporto del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Via Trionfale presente negli atti della Prima Commissione Moro (voll.30-39). È un breve sommario del verbale rilasciato la mattina del 16 marzo dall’ottico (il nome indicato è sbagliato: “Gualersi”). Circa il numero di queste foto appare una correzione a mano che lo porta a 16 ma quelle effettive sono solo 11. L’attuale Commissione Moro aveva ricevuto nel 2016 una segnalazione sull’ottico.
LA PRESENZA DI DE VUONO
Tra le foto sino a oggi inedite – qui pubblicate per la prima volta – una rivelerebbe la presenza di un volto: quello di Giustino De Vuono lo “scotennato”. Il volto su questa immagine inedita sembra perdersi tra la folla ma di seguito si può vedere il suo ingrandimento a confronto con le poche immagini ufficiali che lo riguardano, inclusa quella che lo raffigura su alcuni documenti del Paraguay nei quali compare il riferimento all’accusa per i reati di sequestro e omicidio della scorta di Moro.
LA TESTIMONIANZA DEI GUALERZI
Il signor Gennaro Gualerzi insieme con la figlia allora sedicenne confermano i contenuti del verbale e aggiungono alcuni elementi. Pochi minuti prima di apprendere la notizia della strage da un conoscente titolare di un esercizio loro vicino, Gualerzi aveva imprecato contro un’auto scura, una Fiat 128, che a forte velocità sfrecciava davanti al negozio con alcune persone a bordo che si cambiavano velocemente d’abito. Saputo degli spari, Gualerzi accorre poi in via Fani scattando così le foto: sono le 9.15, le ultime raffiche in via Fani contro la scorta di Moro segnano le 9.02 circa. Le Fiat 128 presenti quella mattina sono due: una blu, l’altra bianca con targa diplomatica. I negativi furono dai Gualerzi prontamente consegnati dall’ottico ai carabinieri di Via Trionfale, e una copia delle immagini il signor Gualerzi le inviò anche all’allora direttore de L’Ora di Palermo, da lui conosciuto personalmente, che non le pubblicò mai visto che per quanto concerneva Roma L’Ora si appoggiava a Paese Sera.
IL REBUS DEL BAR
Nello stesso rapporto i carabinieri infatti scrivono: “I negativi sono stati sviluppati e si accludono le pose relative – all. nr. 16”. Allegati che non compaiono nemmeno negli atti di che riguardano i processi Moro e in special modo il Moro Uno e il Bis (né tanto meno in quelli delle commissioni 1 e 2) in cui si registrarono le entrate dei verbali e dei rapporti, con nomi e cognomi. Compaiono invece tra il 16 e il 17 marzo altri testi presenti nello stesso rapporto dei CC di via Trionfale, sentiti anche dalla Digos. Tutti nomi che però non avevano nulla da dire sull’eccidio di quel giorno. Le foto rinvenute ritraggono i momenti più significativi successivi alla mattanza: alcuni noti, ma l’elemento più importante che emerge è quel volto che sembra confondersi tra la folla. Secondo i Gualerzi, inoltre, il bar Olivetti – ulteriore oggetto di indagine della Commissione – che appare con la saracinesca abbassata alle spalle del presunto Antonio Nirta svolgeva attività normale in quel periodo sebbene secondo loro non vi fosse traffico sospetto di personaggi oscuri. La posizione del boss Nirta detto ‘due nasi’, intervistato dopo 24 anni da “Le Iene” nei giorni scorsi è stata archiviata nel ‘93.
IL MISTERO DEI RULLINI
La lista dei rullini di via Fani scomparsi dalle evidenze dei fatti è inarrestabile: si va da una parte di materiale relativa alla foto pubblicata dal Messaggero il 21 gennaio 2016 (scovata questa tra le carte del processo Pecorelli) rullini consegnati all’allora magistrato Luciano Infelisi da un carrozziere e sua moglie giornalista; per passare poi ad alcune foto a loro volta sparite dagli uffici della procura che ritraevano parte del commando mentre sparava alla scorta; altri rullini furono rinvenuti poi da un’abitante della zona nel proprio giardino e da questa consegnate a un agente in borghese mai ritrovate in seguito; ulteriori rullini ancora di cui ha riferito il giornalista Diego Cimara alla Commissione e infine un’altra serie, mai più ritrovata, di cui ha riferito sempre alla Commissione Antonio Ianni, il primo fotografo Ansa di Roma arrivato sul posto. Il materiale (tre rullini) da lui scattato quella mattina sarebbe stato in gran parte trafugato dall’archivio fotografico dell’agenzia. Giunto in Via Fani quando ancora i corpi non erano stati coperti, troverà la sera stessa la propria abitazione sottosopra.
Di questa lunga serie, qui si mostrano le uniche foto rinvenute, con particolare focus sul volto che è possibile indicare almeno giornalisticamente come il volto di Giustino De Vuono: il volto dell’altra ‘ndrangheta.
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Giustino De Vuono (il volto individuato tra le foto inedite): Criminale e aspirante ‘ndranghetista mai affiliato ufficialmente perché fra il 1958 e il ’63 aveva vestito la divisa di legionario (un militare dunque per loro), De Vuono si “politicizza” in carcere. Il teste Rodolfo Valentino azzarda un suo riconoscimento dalle foto diffuse sui giornali (verbale del 19 aprile 1978). Quello di De Vuono è un ruolo che via via sparisce dalle indagini e dai processi. Di lui attualmente non si conosce l’esistenza in vita né la sua morte. Arrestato e condannato insieme ad altri nel 1981 per l’omicidio di Carlo Saronio (’75), la sua pena verrà ridotta a sei mesi per un condono (cfr. libro di Antonella Beccaria Pentiti di Niente 2008). Apparirà e scomparirà fra il 1977 e il 1981 dal Paraguay durante la dittatura di Alfredo Stroessner e il suo nome emerge già nel volantino diramato insieme a quello di altri BR il 18 marzo ’78. A dicembre dello stesso anno viene spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti che cessa di essere attivo ai confini della Svizzera. I suoi movimenti sempre tracciati si perdono solo nel 78 fino ad agosto, dunque per tutto il periodo del sequestro e l’omicidio Moro.