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Cosa cela l’offensiva contro il Qatar. Parla padre Cervellera

L’Iran come vera culla del terrorismo è poco credibile. Con buona pace di Washington e di Riyad che guida il fronte arabo del Golfo contro Doha, “colpevole” di essersi aperta a Teheran. Del resto nella regione in pochi possono sbandierare patenti di verginità: “Sia Arabia Saudita che Qatar sostengono gruppi violenti”. Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia di stampa del Pontificio istituto missioni estere, Asia News, teme piuttosto che l’attuale crisi profumi di scintille: “C’è una disperazione economica diffusa. E la tentazione è di rispondere con una guerra. E non solo nella perenne polveriera del Medio Oriente”.

Non sfugge la tempistica della rottura nel Golfo, a poche settimane dal viaggio in Arabia Saudita del presidente Usa. “Donald Trump è andato a confermare la linea degli Stati Uniti verso l’Iran”, ricorda Cervellera. Trump in Arabia Saudita aveva lanciato proprio l’esigenza di un fonte comune “contro il regime iraniano che per decenni ha portato distruzione in Israele e morte in America” e – a detta dell’inquilino della Casa Bianca – sostiene “gli attacchi chimici di Bashar Assad”. Detto, fatto: la messa all’indice del Qatar è arrivata in un batticiglio. “Una presa di posizione senza precedenti”, analizza l’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede.

Ma per Cervellera, sull’Iran Trump sbaglia mira. “Singolare poi la sua posizione. Da una parte ha fatto un discorso sulla pace e poi ha siglato un accordo coi sauditi sulla vendita di armi per 110 miliardi. E sappiamo benissimo che l’Arabia fornisce armi ai gruppi estremisti”. Così come li finanzia il Qatar. Il “sostegno al terrorismo” di Doha – motivazione ufficiale della crisi diplomatica – sembra quindi essere solo un paravento dietro cui si muove il vero interesse dell’operazione: escludere il piccolo, ricchissimo emirato che mantiene una collaborazione con il grande avversario iraniano.

Anche l’Egitto si è affrettato a chiudere lo spazio aereo ai mezzi battenti bandiera Qatar. Al Cairo brucia ovviamente il sostegno dato da Doha ai Fratelli Musulmani, il movimento islamista sunnita dichiarato fuorilegge sia in Arabia che negli Emirati e sponsor dell’ex presidente egiziano Mohammed Morsi. Al Cairo è ancora fresco il ricordo della visita di fine aprile di Papa Francesco. Quel viaggio ha mosso qualcosa? Ha generato qualche processo? Probabilmente è ancora presto per raccogliere i frutti di una semina certamente abbondante. Di fatto il Cairo ha per il mondo islamico sunnita un ruolo centrale, così come ce l’ha Teheran per quello sciita. E il Vaticano cerca di coltivare buone relazioni con entrambi. Bergoglio nel 2016 aveva incontrato in Vaticano il presidente della repubblica islamica d’Iran, Hassan Rouhani. Per il direttore di Asia News il Papa serviva ad al Sisi soprattutto come spot internazionale, “per dimostrare che nel Paese c’è sicurezza, magari per rilanciare il turismo. Gli è andata male”. Anche dopo il viaggio egiziano di Bergoglio, ci sono stati nuovi attacchi terroristici. Attacchi – ricorda Cervellera – che vengono dati per “riconducibili ai Fratelli Musulmani finanziati dal Qatar”.

Non va poi dimenticato che lo scontro fra Arabia Saudita e Qatar ha un risvolto anche di carattere religioso interno all’islam. Come ricorda Asia News, nei giorni scorsi i discendenti sauditi di Ibn Abd al-Wahhab, capostipite della fazione wahhabita, hanno preso le distanze dalla famiglia reale del Qatar, chiedendo di cambiare nome alla più importante moschea del Paese, il cui imam è Yusuf Al Qaradawi, uno dei leader dei Fratelli Musulmani.

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