C’eravamo tanto rottamati. I tempi del camper e della Leopolda, per Giorgio Gori, sono finiti da un pezzo. Dal 2014, l’ex spin doctor di Matteo Renzi è sindaco di Bergamo, terra di leghisti della vecchia guardia e nostalgici dei comizi in canottiera di Umberto Bossi. Grazie al sostegno del Pd, Gori, tre anni fa, è riuscito a strappare la città al centrodestra. Ora, potrebbe riprovarci da candidato dei dem per la Regione Lombardia, attualmente presieduta da uno dei leader del Carroccio, Roberto Maroni.
Il mandato del governatore scade nel 2018. Prima, però, c’è un’altra data fondamentale nel calendario politico della Lombardia: il 22 ottobre, gli elettori saranno chiamati a votare per il referendum sull’autonomia. Gori e l’ex segretario della Lega sono entrambi a favore del Sì, ma con intenzioni e programmi ben diversi. Per questo, ormai da mesi, si scontrano a cadenza settimanale. I principali protagonisti della consultazione del prossimo autunno sono loro. Tanto che, referendum a parte, pare sia già iniziata la campagna elettorale per le regionali. Non è un caso che tra le idee di Maroni ci sia quella di accorpare il voto del referendum e quello per le regionali in unico election day.
In settimana, il governatore è tornato a parlare di autonomia. “Sul piano politico, serve eccome”, ha spiegato: “A me non interessa avere maggiori competenze: l’unica che m’interessa è quella sulla sicurezza, per poter decidere sui flussi migratori”. Gori ha affidato la sua replica a Twitter. E ha accusato Maroni di “disinteresse per una maggiore autonomia della nostra Regione e scarsa conoscenza della Costituzione. La sicurezza”, ha scritto il sindaco di Bergamo, ” tra le competenze esclusive dello Stato, non trasferibile alle Regioni”. Controreplica di Maroni, sempre su Twitter: “Io rispetto i miei avversari e non rispondo mai ai loro insulti volgari, segno di nervosismo e di debolezza politica”.
Se per Maroni l’autonomia è necessaria per avere maggiori poteri sul tema della sicurezza, secondo Gori rappresenta l’inizio del «”ederalismo differenziato, che è da sempre una nostra bandiera e costituisce il modello che, giustamente, abbiamo opposto alla Lega secessionista. Maroni, in cinque anni, non ha fatto nulla per portare maggiore autonomia in Lombardia, e questo referendum ha il chiaro sapore della propaganda. Noi dobbiamo prendere l’iniziativa, non dobbiamo lasciarla ai nostri avversari: voteremo Sì, perché non si può votare No su un tema simile”.
Parole da leader del centrosinistra. Parole da possibile candidato alle regionali del 2018. L’ipotesi di Gori in campo col Pd e gli alleati per sfidare la Lega e Maroni viene ventilata da più parti. Per ora, il sindaco non conferma. “Non ho mai manifestato l’idea di candidarmi”, ha detto Gori al Corriere di Bergamo. “Il Pd e il centrosinistra stanno ragionando su quale possa essere il candidato migliore. Alcuni hanno fatto il mio nome, ma la decisione non è ancora stata presa”.
A chi gli ha chiesto se Maroni sia invincibile, Gori ha risposto convinto: “Non lo penso affatto. Anzi. Che la partita sia complicata per il centrosinistra in Lombardia lo sappiamo da più o meno 25 anni, tant’è che abbiamo sempre perso. Se sarà bravo a mobilitare tutte le energie che ci sono nei territori, però, penso possa giocarsela in modo competitivo”. Un po’ come ha fatto lui tra le terre leghiste di Bergamo. Vincendo.