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Cosa succede alle banche tra Europa e America

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Il sistema bancario atlantico (ci piace chiamarlo così perché fortemente integrato e, almeno ancora per numerosi anni, con New York e Londra come pilastri) è sano? O meglio tale è tornato dopo che, prendendo due decisioni importanti in direzioni divergenti, le autorità europee hanno posto le basi per bloccare possibili crisi di grandi proporzioni, e la Federal Reserve Usa si è mossa cautamente in materia di tassi d’interesse?

È una delle domande cruciali di questa estate. Non pretendiamo di darle una risposta ma almeno di porla sul tappeto tanto più che, in Italia, presi dai nodi di quelle ormai chiamate ex- banche venete, si sta dando meno attenzione al problema di quanto merita.

Guardiamo con il cannocchiale quanto sta avvenendo al di là dell’Oceano e senza farsi troppo influenzare dai movimenti quotidiani degli indici di borsa, a come è cambiato il mondo bancario americano. La crisi iniziata nel 2007 ha fatto sì che gli americani fossero i primi ad investire enormi quantità di denaro pubblico per poter giungere a stimare con una buona dose di approssimazione il valore di varie tipologie di derivati. In tal modo – sottolinea non solo la vastissima letteratura accademica ma anche un’approfondita inchiesta giornalistica apparsa sul New York Times dell’1-2 luglio – è stato possibile consolidare il sistema, migliorare le regole interne di accantonamenti prudenziali, rafforzare la vigilanza (prevedendo anche penali molto pesanti per i banchieri “infedeli”). Le riforme del sistema bancario (unitamente a misure dirette a facilitare investimenti e consumi) hanno fatto sì che il Pil americano viaggiasse al 2,5% l’anno, mentre quello dell’Eurozona all’1,8% e quello dell’Italia attorno all’1%.

Oggi, però, ci si comincia a chiedere se nel punch non sia stata messo troppo finto champagne, soprattutto sotto il profilo dell’alleggerimento della regolamentazione. Il settore, che ha perso milioni di addetti negli anni della crisi (e non ha successivamente aumentato gli organici), resta magro ma cominciano a crescere, ancora una volta, i crediti deteriorati, le insolvenze sui prestiti al consumo (segnatamente quelli regolati con carte di credito), mentre i compensi dei banchieri riprendono ad esplodere come negli anni immediatamente precedenti la crisi. Probabilmente, basterebbe un aumento dei tassi d’interesse ed un ritocco alla regolamentazione per bloccare i germi di una nuova crisi. Ma è proprio su questo punto che Casa Bianca e Federal Reserve hanno opinioni molto divergenti. A tirare la fune, prima o poi, la si spezza. Con conseguenze anche per l’Europa.

Nel continente vecchio, si sono svolti due drammi bancari paralleli. In Spagna, all’inizio di giugno, su pressione dell’Unione Europea, al Banco Popular (il sesto istituto di credito del Paese) sono stata applicate le regole di risoluzione dell’ancor monca unione bancaria: il Banco Santander l’ha acquistata per un euro ed i titolari di azioni, obbligazioni (sia senior sia junior) e correntisti (oltre 100.000 euro) devono accettare perdite sino all’8% del capitale dell’istituto. Meno di un mese dopo, le stesse autorità europee, hanno autorizzato l’Italia a mettere sino a 17 miliardi di euro di denaro dei contribuenti per il salvataggio delle banche venete (insieme tra il decimo e l’undicesimo istituto della Repubblica) ed ad inserire nel decreto legge di ‘salvataggio’ anche una clausola di amnistia per i manager e gli azionisti dei due istituti. Questi ultimi vengono rilevati, per un euro, da Intesa Sanpaolo, il quale non si prende carico di perdite, incagli ed insolvenze.
La ragione per la differenza di trattamento risiede, secondo la Ue, nel fatto che il Banco Popular sarebbe “sistemico” (ed il suo tracollo avrebbe avuto effetti sul resto delle banche europee) mentre le banche venete sarebbero “locali”, senza implicazioni sul resto dell’UE.

La giustificazione pare di lana caprina. Ma un chroniqeuer che pur ha passato metà della sua vita professionale in Banca Mondiale, non può restare che perplesso. Da un lato, non si dispone dei parametri (sembrano del tutto soggettivi) che fanno diventare “di rilievo europeo” il Popular mentre fanno scendere a banchette paesane le due banche venete. Da un altro appare del tutto incomprensibile l’’amnistia’ a dirigenti e manager. Da un altro lato ancora, se i nuvoloni sull’Atlantico diventano un brutto temporale, le decisioni contraddittorie sui tre istituti rendono la claudicante unione bancaria una difesa (per l’Europa) ancora più zoppa.


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