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Tutti i subbugli diplomatici in Usa sull’incontro Trump-Putin

L’ex stratega per le comunicazioni di Barack Obama, Dan Pfeiffer, ha scritto un tweet al vetriolo sull’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin: “Se il racconto (di quanto successo) degli americani è trattato con lo stesso scetticismo con cui viene trattato quello russo, la colpa è delle bugie di Trump”, sulla stessa linea Anne Appelbaum, opinionista di punta del Washington Post, che dice che in quella stanza non c’era nessuno di credibile.

Parole che fanno anche eco a un’intervista agguerrita che Chick Todd della MSNBC ha fatto all’ex ambasciatore americano in Russia Michael McFaul (molto critico con l’amministrazione Trump, ma anche con Mosca, al punto che il Cremlino ha alzato contro di lui un divieto di ingresso). McFaul calca sull’assenza del Consigliere per la Sicurezza nazionale HR McMaster all’incontro di Amburgo: “Perché?”, si chiede l’ex ambasciatore, navigato politico e diplomatico. Se c’è “un plus”, uno che ci deve essere, quando c’è un incontro del presidente americano con un altro capo di Stato, dice McFaul, quello è il consigliere: è il suo lavoro, è lì anche solo per prendere appunti sulla conversazione.

McMaster esce “indebolito” da questa assenza, aggiunge, e solletica chi pensa che l’incontro ristretto organizzato da Washington sia stato anche fatto ad hoc evitare il rischio che si diffondessero toni, comportamenti, espressioni, e per tenere i contenuti sotto estremo riserbo. C’erano solo i due leader e i rispettivi ministri degli Esteri: il New York Times e il Washington Post danno letture discordanti sul perché. Il primo dice che è stata una forzatura di Mosca, dato che Putin si trova più a suo agio negli incontri ristretti e diretti, e avrebbe così sfruttato una superiorità politica, quanto meno nell’esperienza; l’altro sostiene che è stata una volontà di Washington e segue un po’ la linea-McFaul, riservatezza, evitare fughe di notizie.

Uno degli argomenti che sta surriscaldando l’atmosfera politica americana riguarda, ancora, il Russiagate: Trump, secondo le informazioni rivelate dopo l’incontro, avrebbe chiesto a Putin chiarimenti sull’interferenza russa durante le elezioni americane (una roba enorme, su cui è in corso un’indagine altrettanto gigantesca, e dunque complicata). Il presidente si è rivolto a Putin in modo “robusto”, è stato il commento ufficiale del segretario di Stato Rex Tillerson, “ha ascoltato quello che Putin aveva da dire sulla questione e ha accettato le sue dichiarazioni” – versione russa della storia, diffusa dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov: Trump ha accettato la discolpa di Putin, che ha detto di non aver ordinato nessuna interferenza, stop. Il termine “accettato” è oggetto di discussione: McFaul porta la bandiera anche in questo caso (l’interferenza è “un fatto”, “accettare” rende la sovranità americana “debole”, scrive in un tweet) ma molti tra i repubblicani condividono i dubbi. E, se come scrive il New York Times Trump pensava di “mettere fine ai crucci sulla sua elezione”, la missione non è riuscita: difficile che il partito e i senatori delle commissioni che stanno indagando sulla possibilità che l’azione russa abbia anche avuto collusioni con il comitato elettorale di Trump si accontentino.

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