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Vi spiego cosa si studia davvero in Parlamento sulle pensioni

Di Andrea Mazziotti
pensioni

Nell’articolo pubblicato su Formiche.net firmato da Stefano Biasioli ed Ennio Orsini sono richiamati tesi e allarmismi che potrebbero portare a uno scontro generazionale del tutto inutile e ingiustificato. Queste stesse tesi, dopo alcune contestazioni sul web, hanno portato Giorgia Meloni e Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) a ritirare la firma dalla mia proposta di legge, sottoscritta da circa 50 parlamentari di maggioranza e opposizione, e ad abbandonare una battaglia che è sicuramente a favore dei giovani, ma non vuole assolutamente essere contro i “vecchi”.

Nessuno vuole tagliare le pensioni agli anziani. Vogliamo semplicemente obbligare la politica a non guardare solo al breve termine e a pensare anche ai giovani quando decide di pensioni e di welfare. Ce lo ha confermato il presidente dell’Inps Boeri in audizione, quando si legifera in materia di pensioni, vengono chieste proiezioni a 10 anni! In altre parole, il Parlamento decide senza conoscere gli effetti delle leggi su chi paga i contributi solo da qualche anno e ha davanti a sé magari 30 anni di contribuzione prima di andare in pensione.

Per questo serve un principio di non discriminazione generazionale in Costituzione, che renda illegittime le nuove norme basate sull’oggi e senza uno sguardo al domani. Norme che sono state numerosissime negli ultimi decenni. E infatti, nonostante la frenata della legge Fornero, ancora oggi la spesa complessiva delle prestazioni previdenziali per gli under 40 è pari al 4%, mentre l’88% va agli over 60. Persino i sussidi di disoccupazione vanno per il 64% agli over 40 (dati Inps).

Anche l’Istat ha confermato l’esistenza di una situazione gravissima. Il presidente Alleva ha detto che nel 2060 crollerà del 10% un indicatore importante: il tasso di sostituzione netto che misura il rapporto tra la prima annualità di pensione e l’ultimo reddito annuo preso prima della pensione.

Insomma, i giovani sono sempre più a rischio di povertà e sanno già oggi che, a parità di condizioni, andranno in pensione più tardi (a 75 anni) e con meno soldi (-25%). E per questo sentono il pagamento dei contributi come una specie di tassa, un finanziamento a fondo perduto che forse non tornerà.

Di fronte a questa situazione, riequilibrare non significa espropriare sulla base di un generico principio di solidarietà. Significa costringere chi fa le leggi e governa ad assicurare che anche i lavoratori di oggi possano essere pensionati domani.

Dire che introducendo il principio di non discriminazione a danno dei giovani si vogliono tagliare le pensioni dei più anziani è come dire che le norme sull’equilibrio di genere nel mondo del lavoro hanno come obiettivo il licenziamento dei maschi.

La mia proposta mira semplicemente a rendere costituzionale la tutela di chi paga i contributi e non ha prospettive.

Questa settimana, nel dibattito sui vitalizi, qualcuno ha parlato a sproposito di macelleria sociale. La vera macelleria sociale, in realtà, la stiamo facendo sulla pelle dei giovani.

Giovani che, purtroppo, non si organizzano, non difendono i loro interessi come fanno altre categorie e che anche per questo non vengono ascoltati e non si fanno ascoltare da una politica che continua a incontrare solo i sindacati.

 


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