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Amos Genish, chi è (e cosa farà) il nuovo direttore di Tim voluto da Bolloré

Vincent Bolloré

Da startupper ingabbiato nel colosso e critico verso di esso, a uomo di fiducia di Vincent Bollorè (nella foto). Il nuovo direttore operativo di Tim, il manager israeliano Amos Genish (insieme a Giuseppe Recchi e al presidente ad interim Arnaud De Puyfontaine) dovrà trovare insieme ai suoi bracci destri “soluzioni per conservare il valore dell’azienda e per migliorare il rapporto con il governo Gentiloni”. Una vera impresa sfidante, visti i recenti screzi tra Italia e Francia sul tema della fibra e anche su altri fronti, segnatamente l’affaire Fincatieri-Stx. Per questo Vivendi, con il 23,9% di Tim, punta a un nuovo e più disteso rapporto con l’esecutivo, Tanto che non chiude a una società unica (pubblico-privata) sulla rete fissa, come ha detto il presidente agli analisi e come ribadito al quotidiano La Stampa: sono “disponibile, nel rispetto del governo, a una discussione aperta”, ha detto De Puyfontaine. Non solo: come svelato oggi dal quotidiano Il Sole 24 Ore i soci francesi avrebbero un piano segreto sulla rete fissa che prevede lo scorporo dell’infrastruttura da Tim per metterla in una newco (aperta in un secondo momento anche ad altri, ossia a Open Fiber di Enel e Cdp) e quotarla in Borsa.

Il nuovo management è comunque già al lavoro rafforzare le sinergie tra Vivendi e Telecom: per farlo – e questo è stato l’unico aspetto su cui si è dilungato De Puyfontaine in conference call, ad agosto nascerà una joint venture fra Canal+ e Tim finalizzata alla produzione di contenuti per una pay tv italiana competitor di Netflix e Sky. Intanto la semestrale è stata la migliore degli uomini nove anni, con un fatturato in aumento del 7,4% a 9,8 miliardi e un margine aumentato del 10% a 4,1 miliardi. Anche il debito, spina nel fianco da sempre per Tim, è migliorato, scendendo a 25 miliardi.

Ora saranno davvero i francesi a compiere i prossimi passi. E con l’aiuto di Genish sarà più facile fare la cosa giusta. “Amos è un affermato manager nel settore delle telecomunicazioni – ha detto ancora de Puyfontaine – dove ha contribuito alla creazione di valore, con una comprovata esperienza in diversi contesti internazionali. Sono certo che saprà adattarsi rapidamente al contesto italiano, come aveva fatto in Brasile”. Genish, che era il Chief Convergence Officer di Vivendi dallo scorso 4 gennaio, è stato ceo di Telefônica Brasil dal maggio 2015 al primo giorno del 2017.

Nato in Israele, in un contesto di estrema povertà, è riuscito a scalare tutti i gradini che portano al successo e per vicissitudini diverse si è trovato a occuparsi di telefonia in Brasile, rivoluzionando quel mercato. Genish è infatti uno dei fondatori, nel 1999, di Global Village Telecom, un operatore alternativo brasiliano che nel 2007, dopo una crescita vertiginosa, è stato quotato sul Bovespa per poi essere venduto, due anni dopo, a Vivendi per 4,8 miliardi e infine, nel 2014, dalla società francese alla spagnola Telefonica per 9 miliardi.

Genish, che oggi 57 anni è spostato in seconde nozze con Heloísa Becker, avvocato 34enne che gli ha dato una figlia di recente, brasiliano ebreo di 23 anni ha creato un colosso con 18mila dipendenti, turnover annuale di 2,5 miliardi, con sedi in 156 città dei Brasile, patendo da zero. Insomma, con la creazione di valore ha una certa dimestichezza.

Come pure con la capacità di adattarsi a contesti diversi da quelli a cui è abituato. La storia della sua vita sembra la trama di un film: la ha raccontata magazine Haaretz: cresciuto con 11 fratelli in un quartiere difficile di Netanya, in una piccola cosa in cui c’erano più persone che letti. Le sue doti emersero presto, tanto che a 14 anni il nostro andò a studiare a Gerusalemme nella prestigiosa scuola Himmelfarb. Combattè nell’artiglieria la prima guerra del Libano, consapevole che “per avere successo in seguito, dovevo essere ufficiale di un’unità di combattimento. Così funziona la società israeliana”.

A Tel Aviv, dove si trasferì dopo questa militanza, ha studiato economia all’Università. Il lavoro come vice presidente della Edunetics, che vendeva software educativi e che nel 1992 fu quotata al Nasdaq, lo portò a Washington e là incontrò Joshua Levinberg, l’imprenditore con cui fondò Gvt, con lo scopo di servire una parte dei 3 miliardi di persone che alla fine dello scorso millennio non avevano accesso alle telecom: Peru, Colombia, Cile e infine il Brasile.

Un’altra dote che gli sarà molto utile in Tim sarà quella che, quando era a capo del villaggio globale delle telecom, lo portava ad assumersi rischi: nel 2002 Gvt era quasi al collasso con lo scoppio della bolla di Internet e il crollo del real brasiliano ed era piena di debiti. Genish rinegoziò i debiti e non abbandonò il Brasile, come facevano tutti: “Tutti venivano dal proprio Paese come un telecom già strutturata con le sue regole – dice Genish ad Hareetz – Noi, non avevano alcuna esperienza e questo ci ha consentito di guardare le cose da una prospettiva diversa: in maniera non rigida. Inoltre come piccola società avevamo alto da perdere. Se per un colosso chiudere un’attività e perdere uno o due miliardi non fa la differenza, per noi sarebbe stato un disastro. E quindi abbiamo combattuto”.

Fino alla vendita a Vivendi. Del passaggio da una startup a un colosso come quello francese nel 2014 Genish parlava così: “prima il processo decisionale era a due tra me e il mio socio fondatore: ci guardavano e ci muovevamo. Con Vivendi si lavora con manager professionisti e il processo decisionale è lento, vecchio, con un sacco di incontri a Parigi o in Brasile”.

Chissà ora come la pensa.

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