Nel 2004 ho lavorato per un quotidiano venezuelano che aveva un ambizioso progetto: un inserto domenicale di analisi e approfondimenti. Il direttore del giornale era un noto giornalista televisivo, intelligente e ironico. Si chiamava Francisco “Kiko” Bautista ed era molto scomodo al presidente Hugo Chávez. Nonostante le minacce e le aggressioni verbali e fisiche che subiva, lui non intendeva mollare il diritto alla libertà di espressione e di informazione e la missione di fare un giornalismo libero in Venezuela. Il numero zero era impeccabile, un prodotto editoriale unico nel Paese. Ma non è piaciuto al regime. Diosdado Cabello, oggi membro dell’Assemblea Costituente, era all’epoca direttore della Commissione Nazionale di Telecomunicazioni (Conatel), un organismo che ha il compito di controllare i media venezuelani e sanzionare chi viola le regole della comunicazione. Cabello sosteneva che Bautista era dietro una campagna mediatica contro il governo e fece pressione sull’editore del giornale. Ad un mese dall’uscita dell’inserto settimanale, Bautista è stato licenziato ed io con lui.
Così sono capitata in un’agenzia di pubbliche relazioni e strategie di comunicazione. Tra i clienti c’era Smartmatic, l’impresa incaricata del sistema con voto elettronico in Venezuela. Il referendum del 2004 per revocare il presidente Chávez è stata la prima esperienza nel Paese sudamericano. Smartmatic era presente in alcuni Stati americani, tra cui la Florida. Di recente ha curato le elezioni in Uganda e Filippine. Il compito dell’azienda in Venezuela era quello di garantire il voto anonimo – anche se l’elettore doveva votare con l’impronta digitale – e l’affidabilità del sistema digitale.
LA CONFESIONE DI SMARTMATIC
Ieri il ceo di Smartmatic, Antonio Mugica, ha confessato da Londra che il 30 luglio le cifre sull’affluenza alle urne per l’elezione dell’Assemblea Costituente sono state “manipolate”: “La differenza tra la partecipazione reale e quella annunciata dalle autorità è di almeno un milione di voti”. Per Mugica, “una revisione potrebbe permettere verificare il numero preciso di voti […] Il nostro sistema automatizzato è disegnato per evidenziare qualsiasi manipolazione, ma devono esserci persone che osservano il sistema e guardano quelli indizi”. Nel processo elettorale di domenica scorsa, per la prima volta dal 2004, non ci sono stati osservatori internazionali né testimoni dell’opposizione nei seggi elettorali. Nemmeno i giornalisti potevano avvicinarsi ai centri di votazione.
LA DENUNCIA DEL PROCURATORE GENERALE
Per il procuratore generale del Venezuela, Luisa Ortega Díaz, “siamo di fronte a un fatto inedito, grave, che costituisce un reato […] Vi informo che ho nominato due giudici per indagare i quattro direttori del Consiglio Nazionale Elettorale (Cne) per questo atto davvero scandaloso”. Secondo il Consiglio Nazionale Elettorale, il 41,5% degli aventi diritto hanno partecipato all’elezione dell’Assemblea Costituente, una cifra superiore ai 7,6 milioni di voti raccolti dall’opposizione il 16 luglio in un referendum simbolico contro la Costituente.
Circa 20 tecnici di Smartmatic sono andati via dal Venezuela per motivi di sicurezza. Il segretario generale del Sindacato di lavoratori della stampa, Marco Ruiz, ha detto che ci sono state minacce dopo la denuncia della frode elettorale del 30 luglio: “Le cifre ufficiali e quelli reali registrate dal sistema non concordano”. Secondo alcuni indiscrezioni, il risultato sarebbe di poco più di 600mila voti.
La decisione di denunciare la manipolazione del voto in Venezuela potrebbe essere risultato delle sanzioni di Donald Trump contro il governo di Maduro: per potere continuare a presentarsi negli appalti in America, Smartmatic doveva prendere le distanze dal regime venezuelano e chiudere qualsiasi tipo di affare.
I NUMERI REALI
Quando parlo con i miei amici venezuelani sulla denuncia di Smartmatic e le contraddizioni delle cifre delle elezioni per i membri della Costituente, mi rispondono annoiati: “Dov’è la notizia? In questi 18 anni si sapeva che il sistema Smartmatic era manipolato dal governo”. Loro, che vivono le difficoltà della vita quotidiana in Venezuela, preferiscono parlare di altri numeri: “Il cambio della valuta secondo il governo è 10 Bolívares Fuertes (BsF) per un 1 euro. La verità è che 1 euro costa 17.565 BsF. Quando sei andata via 10 anni fa, con 2 milioni di Bs (che oggi equivalgono a 2mila BsF) compravi una moto, oggi non ti basta per un chilo di pomodori. Lo stipendio minimo sono 97.000 BsF, ovvero, 5,7 euro al mese”. Ecco le cifre che contano, quelle dell’inflazione, in una realtà da incubo.